Le polemiche sulla strage di Bologna e il vero pericolo per la democrazia

Rassegna ragionata dal web su: i balbettii della Meloni sul terrorismo nero, le critiche della sinistra, i giochi pericolosi con Pechino degli “antifascisti” alla Travaglio e Conte

Su Dagospia si scrive: «Agosto, Giorgia Meloni non ti conosco. Non avrà di certo bisogno di condizionatori o ventilatori perché, al nono mese di Palazzo Chigi, sull’alleanza di governo si addensano temporali anziché i raggi del solleone».

Una serie di “alti moniti” del tipo di quelli che negli ultimi trenta anni hanno accompagnato la destabilizzazione dei governi scelti dall’elettorato e la degradazione della nostra democrazia, fanno ritenere a Dagospia che la stagione di Giorgia Meloni volga al brutto. Un qualche disordine nel governo può far pensare che le previsioni pessimistiche per Palazzo Chigi siano fondate. Non mancano però segnali in controtendenza. Soprattutto perché non tanto l’opposizione parlamentare che è evidentemente inadeguata, quanto le sponde “internazionali”, a cominciare dalla Francia pur così “autorevolmente” ascoltata nei più alti palazzi, non sono bene in grado di prendere le iniziative che dal 1992 hanno condizionato la nostra politica. In questo contesto anche le polemiche sulla strage della stazione di Bologna, se segnalano qualche incertezza lessicale meloniana che poteva esserci risparmiata, non mi pare che siano la base per una prossima crisi politica.

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Su Fanpage Tommaso Coluzzi scrive: «“È il giorno del commosso ricordo delle vittime della strage di Bologna”, dice il presidente dell’Associazione nazionale partigiani italiani, Gianfranco Pagliarulo. “La magistratura ha accertato le responsabilità dei neofascisti e l’intreccio di poteri occulti dietro quella strage”. “Eppure sono ancora in corso, in particolare da parte di dirigenti di Fratelli d’Italia, tentativi di negazionismo e più in generale manovre per riscrivere la storia del decennio delle stragi nere”, aggiunge l’Anpi. “Negli anni scorsi Giorgia Meloni ha più volte messo in discussione le verità accertate dalla magistratura. Oggi è presidente del Consiglio. La sua ambiguità non è più tollerabile”».

Pagliarulo magari esagera nei toni, però al fondo fa il suo mestiere (in qualche modo utile) di “strillare un po’”, come è suo compito di sentinella dei valori della Resistenza (un’unica osservazione: sarebbe meglio se fosse più attento anche ai valori della Resistenza ucraina). Il presidente dell’Anpi non ha peraltro nessuna presunzione di avventurarsi in analisi più articolate su che cosa è stato il fascismo non solo nella sua stagione dominante, ma anche nel secondo dopoguerra e ancor meno dopo la fine della cosiddetta guerra civile europea (Prima Guerra mondiale 1914-fine dell’Unione Sovietica 1991). La riflessione sulla fase successiva al 1945 mi sembra essere presente invece alla premier italiana.

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Su Huffington Post Italia Pietro Salvatori scrive: «Fratelli d’Italia ha un problema con la parola che inizia con la F. Nell’anniversario della strage di Bologna quasi a sorpresa è il presidente del Senato Ignazio La Russa a pronunciarla: “Va doverosamente ricordata la definitiva verità giudiziaria che ha attribuito alla matrice neofascista la responsabilità di questa strage”».

Senza dubbio gli eredi del Msi sono impegnati anche a distinguere l’esperienza del loro partito da quella dei terroristi che pur nel loro partito erano cresciuti. Però quando la Meloni dice che bisogna fare i conti con il tremendo terrorismo che tra il 1969 e gli inizi degli anni Ottanta ha insanguinato l’Italia e che bisogna in questo senso aprire tutti gli archivi che consentono di ricostruire una verità storica, mi pare si ponga un obiettivo più ambizioso di quello di difendere la sua parrocchietta. Capire come sia potuto crescere un terrorismo nero e rosso nel nostro paese significa fare i conti con le carenze anche educative delle nostre classi dirigenti e insieme sul come la nostra vita nazionale sia stata profondamente condizionata anche dall’esterno.

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Su Open si scrive: «La strana coppia (politica). Dopo essersi combattuti per anni, cavalcando avvisi di garanzia e inchieste giudiziarie, Marco Travaglio e Gianni Alemanno finiscono “a braccetto” almeno su un argomento: l’opposizione al modo in cui l’Italia sta gestendo la guerra in Ucraina. L’ex sindaco di Roma è infatti intervenuto in mattinata alla presentazione al mondo della destra del libro del direttore del Fatto quotidiano dal titolo Scemi di guerra. La tragedia dell’Ucraina, la farsa dell’Italia. Un paese pacifista preso in ostaggio dai nopax. Un libro, quello di Travaglio, che ricostruisce le cause della guerra tra Russia e Ucraina, criticando di fatto le posizioni della politica e del giornalismo italiano. “È il diario, giorno per giorno, degli eventi drammatici che si consumano nell’Europa dell’Est mentre in casa nostra la politica e il giornalismo danno il peggio di sé”, si legge nella descrizione del libro. E i due personaggi agli antipodi, dalle parole dello stesso Alemanno, si rappresentano in “un fronte trasversale contrario alla guerra per costringere la politica ufficiale a prenderne atto”, ha detto l’ex sindaco della Capitale, portavoce del “Comitato Fermare la guerra”. “Qualcuno della nostra area politica di destra”, continua Alemanno in una sala strapiena, “ha criticato l’idea di organizzare la presentazione del libro di Travaglio, ma il successo che abbiamo avuto qui in sala dimostra che solo costruendo un fronte trasversale al di là degli schieramenti si può dare voce alla maggioranza degli italiani contraria alla guerra e costringere la politica ufficiale a prenderne atto”».

Proprio l’accoppiata Gianni Alemanno-Marco Travaglio fa capire come nuovi pericoli per la nostra democrazia non vengano innanzi tutto da generiche (molto appassite) tradizioni fasciste, bensì da tendenze politiche autoritarie che trovano una sponda prioritaria nell’asse russo-cinese. In questo senso anche nel mondo conservatore europeo è abbastanza netta la distinzione tra il Pis polacco superatlantico, Vox aiutata a decollare da José María Aznar per contrastare un certo antiamericanismo concretizzatosi poi nei rapporti con Cuba e Venezuela di Pedro Sánchez, rispetto a Viktor Orbán un po’ spinto nella braccia dei cinesi e l’Afd largamente sostenuta da Mosca. Con una Marine Le Pen in parte in via di riposizionamento dopo i trascorsi filorussi. Se la Meloni balbetta un po’ su alcune vicende è giusto criticarla, purché però si abbia ben presente la vera posta in gioco, e come alcuni pretesi antifascisti come Travaglio e Giuseppe Conte per i loro giochini con Pechino siano oggi il vero pericolo per la nostra democrazia.

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