
Popolari e impopolari
Parte l’Europa di Prodi. O meglio, riparte l’Europa. Se con Prodi non si sa. Sono venti di guerra quelli che spirano da Marbella, dove si ritrovano i Popolari Europei in attesa del voto di fiducia alla Commissione Ue. Ringhiosi i tedeschi che non tollerano l’idea di non figurare nel governo europeo, diffidenti gli inglesi (conservatori, ndr), determinati i francesi a portare a casa per Nicole Fontaine, eroina della battaglia per la scuola libera d’Oltralpe, la presidenza del Parlamento Europeo. Figurano nell’insolito ruolo di mediatori gli spagnoli di Aznar cui non sfugge l’importanza di un comportamento equilibrato ai fini di un protagonismo internazionale sempre più pronunciato. E infatti ha il sapore dell’omaggio vassallatico quello che molti leader gli rendono al palazzo dei Congressi di Torremolinas. Berlusconi esordisce addirittura in chiave aneddotica: “Avevi proprio ragione tu, José Maria…”. Lui ostenta i suoi gioielli davanti ai parlamentari europei di tutta Europa. Aznar, l’uomo del centro destra e dell’apertura a gollisti e conservatori per poter fare del Ppe il primo gruppo politico del continente, descrive con passione le virtù di Loyola e Ana de Palacio, cattolicissime, rispettivamente futuro vicepresidente della Commissione Ue e probabile presidente della commissione giustizia del Parlamento europeo, donne dalla forte tensione ideale, difficilmente rinvenibili tra gli ex-democristiani del gruppo di Atene. Questi ultimi escono fortemente ridimensionati dal raduno. Il Ppe è una forza centrista, liberista e perciò solidale con un grande obiettivo per questa legislatura: il lavoro. Ingoiano a fatica belgi e lussemburghesi. I centrosinistri italici sono ancor più cupi; pesa l’umiliazione subita da Marini, a stento ammesso e dopo molte proteste, a parlare con i capi e per pochi secondi, quasi a sottolinearne l’inconsistenza elettorale, ma soprattutto nei discorsi di De Mita, Bodrato e C. ricorre insistente una domanda: che fine ha fatto il popolarismo? Già che fine ha fatto, on. De Mita ad esempio lo Sturzo liberista, che qui a Marbella è sentito come un nume tutelare, schiacciato da trent’anni e passa di politica statalista e consociativa? È un Ppe che diventa conservatore o più profondamente che accanto alle aperture ai moderati di tutta Europa sperimenta finalmente il senso vero della politica popolare? Lo grida, questo senso, dal palco Wolfang Schaüble: “il futuro è sussidiarietà e federalismo”. A Marbella, la sera, cena tra i leader. Qui Marini non è stato invitato. I suoi, caustici, dicono che è dovuto partire per il Consiglio Nazionale del Ppi. Certo, lì ha potuto parlare più a lungo, ma anche lì non è stato applaudito.
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