
Portieri, una vita nel mirino
Ho appena finito di leggere un racconto in cui un ragazzino piccolo e maltrattato è costretto dai grandi a fare sempre il portiere. Un giorno si ribella. Ne scaturisce una storia di suicidi e misteri che raccomando agli amanti del noir (Gotico rurale, Eraldo Baldini, Frassinelli). Neanche a farlo apposta, domenica è stata la giornata dei portieri. Un ruolo bistrattato, che merita una riflessione. Fai gol ogni nove anni (vedi Taibi) e se ti va bene devi raccogliere palloni nella tua porta. Se ti va male raccogli arance, se ti va malissimo lombrichi, come è successo a Pagliuca. Si sta come un bersaglio sul tirassegno e non è bello. Quando sei il migliore in campo significa che la tua squadra ha fatto schifo. Se la tua squadra ha vinto 6-0 e gli altri non hanno mai tirato, sei n.g., non giudicabile. Devi stare lì, sotto la curva dei gentiluomini dell’altra sponda, che maledicono tutti i tuoi parenti e far finta di niente. Vantaggi? Non essere obbligato a passare la palla a chi ti sta sulle palle. Beh, a pensarci, non è poco.
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