
Poveri bamboccioni, ingessati dall’estinzione dei padri e adesso sbeffeggiati da un ministro vanitoso
I giovani sono sotto tiro. In Italia è il ministro dell’Economia che – dimenticando che il suo stipendio viene pagato anche da loro e che un governo non può prendersela con un gruppo sociale che non fa nulla di illegale, se non buttando via l’imparzialità per fare proprio un giudizio prevenuto ai limiti del razzismo – li chiama arrogantemente «bamboccioni». Confermando così l’aggressività di questo governo verso il popolo dei sudditi. Negli Stati Uniti è uno dei massimi opinion maker del paese, Thomas Friedman del New York Times, ad accusarli di torpore. E a incitarli, figuriamoci, a «tornare nelle piazze», come usava fare la sua generazione.
In questa animosità dei padri, o dei nonni (come Tommaso Padoa-Schioppa), verso le generazioni venute dopo di loro, ci sono tratti comuni. Uno, evidentissimo nel ministro italiano (da sempre afflitto da un complesso di superiorità verso il resto del mondo), ma presente anche in Friedman che accusa i giovani di passività, è il disprezzo. Non è propriamente qualità da buon padre. Anziché cercare di capire perché i giovani si comportino in un certo modo, il disprezzo chiude subito il discorso. Riaprendone implicitamente un altro, autoritario-esortativo-autocelebrante: fate piuttosto come noi. Tps dà dei bambocci ai giovani che si attardano in casa. Ma non dedica neppure una parola, né mezzo pensiero, alla ragione principale di questo fenomeno. Che in effetti non è tanto la povertà (cinquant’anni fa, come sanno tutti, ce n’era molta di più ma si metteva su casa lo stesso) quanto piuttosto l’assenza (testimoniata anche da un ministro così), nella società e nelle singole famiglie, della figura del buon padre, quello cioè che, amandoti e stimandoti (e non disprezzandoti per sentirsi lui il grand’uomo), ti aiuta a entrare nel mondo, a progettarti un futuro. Ti insegna a combattere per affermarlo.
Questi padri sono stati fatti fuori dalla generazione dei Padoa-Schioppa attraverso la legge del divorzio, che negli anni ha consentito di buttare all’aria un numero sempre crescente di famiglie, pregando cortesemente i padri di andarsene di casa e di vedere i figli in tempi e orari del tutto insufficienti a sviluppare un rapporto, figuriamoci un’educazione. In Italia e non solo (anche se da noi di più), le legislazioni divorziste hanno infatti diminuito, com’era prevedibile, il dinamismo dei figli, ritardando la loro uscita di casa, proprio per il venir meno di un’efficace spinta emancipante da parte del padre. Se il ministro delle Finanze si documentasse prima di parlare, lo saprebbe. Invece non sa, ma parla, e insulta lo stesso.
L’attacco ai giovani di Friedman, invece, svela direttamente l’altro volto dei rimbrotti dei grandi: la nostalgia narcisistica personale. Fate come noi, dice il famoso columnist, riscoprite «l’attivismo vecchia maniera». E cita Bob Kennedy, invitando i ragazzi a lasciare i computer e scendere nelle piazze, dichiarandosi «sorpreso perché questa generazione è molto più ottimista e idealista di quanto dovrebbe essere». Il dubbio di essere lui nel torto, e che questi giovani seguano un altro percorso, altri progetti, naturalmente non lo sfiora. Perché significherebbe, come per Tps, dover sostituire l’insulto con l’autocritica.
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