Premierato. Giusto rafforzare il governo, ma la riforma non convince

Il nodo del “secondo incaricato”, la fiducia del Parlamento, la legge elettorale. Tre dubbi non secondari sulla «madre di tutte le riforme» di Giorgia Meloni

L’ultima legislatura, con ben tre diverse ed eterogenee coalizioni, uno stesso premier con due maggioranze, un governo di unità nazionale di tipo tecnico e la rielezione dello stesso presidente della Repubblica, ben testimonia la necessità di rimettere mano alla forma di governo. Ne va della stabilità ma soprattutto della capacità di portare a termine le riforme.

La retorica della Costituzione perfetta è inutile, che la democrazia italiana abbia dei problemi di stabilità e capacità di governo è evidente. Tanto che è dall’inizio degli anni Ottanta che le maggioranze parlamentari provano senza successo a cambiare la forma di governo centrale, mentre i cambiamenti a livello locale hanno funzionato meglio. Da questo punto di vista, dunque, che il governo Meloni prenda l’iniziativa per cercare di rendere più stabili i governi non può che essere vista con favore. Tuttavia, la riforma è un compromesso e in alcuni aspetti non appare molto convincente.
Da un premier eletto a uno “...

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