Premierato: se si rafforza il leader deve avere più voce anche la società

Avvicinare la Costituzione formale a quella “materiale” è cosa giusta. Ma va trovato un modo per valorizzare corpi intermedi e i luoghi istituzionali di rappresentanza

Giorgia Meloni al Quirinale con Sergio Mattarella nel giorno del giuramento del nuovo governo, 22 ottobre 2022 (foto Ansa)

Si discute molto in questi giorni del testo della riforma costituzionale approvata dal Consiglio dei ministri che introduce l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, il cosiddetto Premierato.

È un tema di grande importanza che cambia l’assetto dei nostri equilibri Istituzionali e che va affrontato con la dovuta attenzione.

Alcune prime riflessioni, dal mio punto di vista, si possono proporre.

Un governo eletto dal popolo

1) Avvicinare la Costituzione formale a quella “materiale” – ossia quell’insieme di principi e prassi che vengono oramai utilizzati abitualmente e “vissuti” da tutti come normali – è una buona cosa. Innanzitutto, questa “correzione” della nostra Costituzione è già nelle corde del corpo elettorale che dal 1994 è abituato a trovare sulla scheda i nomi dei leader dei partiti e a scegliere il candidato presidente del Consiglio nella figura del leader della coalizione maggioritaria. Insomma, già oggi di fatto il premier è legittimato alla conduzione del Governo innanzitutto dal voto popolare.

In quella che abbiamo imparato a chiamare “Seconda Repubblica”, dopo il passaggio al sistema elettorale maggioritario, l’elezione diretta di sindaci e governatori e la discesa in campo di Berlusconi che ha reso abituale il leaderismo in politica, il nostro sistema viene vissuto dai cittadini come bipolare (centrodestra vs centrosinistra) e il corpo elettorale vota soprattutto il leader, come è stato da ultimo per Giorgia Meloni e prima per Berlusconi, Prodi, Renzi, ecc.. Da tempo questo definisce la Costituzione materiale. Il fatto che la Costituzione formale, ovvero la vecchia Carta entrata in vigore il 1° gennaio 1948, si adegui a quella materiale, dovrebbe essere un fatto logico e apprezzato in un Paese che si ritiene la “culla del diritto” e voglia avere regole ordinate e riconosciute.

Allo stesso modo tra gli elettori da tempo si va affermando la convinzione, rappresentata dalla frase “vogliamo un governo eletto dal popolo”, che in caso di crisi si debba passare direttamente alle elezioni anticipate, senza governi tecnici o “governi del Presidente” (come i vari Governi Draghi, Monti o Letta, prima ancora Ciampi o Dini) che vengono percepiti come una rottura della volontà popolare, benché in passato abbiamo talvolta tolto le castagne dal fuoco della politica.

Tutto ciò chiarisce come la Costituzione materiale abbia già preso il sopravvento su quella formale e pone in evidenza quanto l’abitudine dei cittadini stia ormai virando verso una tendenza alla premiership, cioè verso un governo del primo ministro. Gli stessi partiti di opposizione, che ora si stracciano le vesti, da decenni si presentano alle campagne elettorale indicando nei loro simboli il candidato Presidente.

Stabilità dei governi

2) La riforma Costituzionale pone un passo deciso verso la stabilità dei governi. Il nostro Paese in settantacinque anni ha avuto ben sessantotto governi. La Germania nel dopoguerra ha avuto 8 cancellieri e negli ultimi vent’anni ha cambiato 2 premier; l’Italia ha avuto 28 presidenti del Consiglio e negli ultimi vent’anni 9.

Ebbene, è chiaro che, se si vuole dare vita a riforme che possano incidere strutturalmente sul Paese, i premier e i governi debbono avere a disposizione un tempo relativamente lungo per lavorare su di esse. Il premio di maggioranza del 55 per cento per la coalizione che vince le elezioni va in questa direzione. Una modalità che, tra l’altro, noi conosciamo e applichiamo già da trent’anni nei Comuni e nelle Regioni e che ha sicuramente garantito più stabilità ai sindaci e ai governatori, di quanta ne abbiano avuta il presidente del Consiglio e il Governo.

Indebolimento del Parlamento

3) Un altro punto qualificante, come già detto, è l’introduzione di un meccanismo che impedisce i governi tecnici. Il presidente del Consiglio deve essere necessariamente un parlamentare e, oltre a essere quello indicato in sede di elezioni dai partiti e dalle coalizioni e scelto dagli elettori, può essere solo per una volta sostituto da un parlamentare della stessa maggioranza. Questo esclude la possibilità che il presidente della Repubblica possa indicare una figura tecnica esterna al Parlamento, cioè un uomo scelto fuori dal contesto politico. In caso di crisi di governo, dunque per una sola volta si potrebbe usare questa surroga, in altri casi si dovrebbe tornare al voto.

È evidente che questa riforma darà più peso alle segreterie dei partiti di maggioranza, che saranno le uniche, in caso di difficoltà, ad avere la possibilità di individuare una figura che possa sostituire il Presidente eletto dal popolo. Questo potrebbe ulteriormente indebolire il ruolo del parlamento. È vero che in passato abbiamo vissute le conseguenze di un eccessivo parlamentarismo, ma già dalla Seconda Repubblica c’è stata un’inversione di tendenza. Al punto che non sono pochi i parlamentari si lamentano di essere chiamati solo a schiacciare un bottone su indicazioni del partito, senza più avere un ruolo decisionale e proattivo.

Con il premierato, dunque, si instaurerebbe un rapporto simbolico diretto tra il premier e il cittadino-elettore, che potrebbe indebolire il legame tra parlamentare e territorio.

I corpi intermedi

La domanda reale è chiedersi se questa è la strada giusta, perché uno dei mali di cui soffre il nostro Paese è una crisi di rappresentanza dei corpi intermedi, delle Istituzioni democratiche, che lasciano solo il cittadino di fronte allo Stato. Il rapporto tra cittadino e leader non potrà mai rappresentare quelle forme di mediazione che danno voce ai cittadini, soprattutto quando si associano tra di loro, rendendo possibili indicazioni ed influenze significative sulle scelte politiche e sociali.

Un rafforzamento del premier e del Governo andrebbe dunque accompagnato da un analogo rafforzamento dei corpi intermedi e dei luoghi istituzionali di rappresentanza, a cominciare proprio dal Parlamento. Questo è l’aspetto su cui coloro che chiedono qualche correttivo andrebbero ascoltati con attenzione e serietà: ben venga un governo più forte se insieme è più forte anche la voce della società, dei soggetti che la rappresentano, delle istanze politiche dei territori.

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