Premio Attila per l’istruzione alla Cgil che ha trasformato i prof in burocrati

Confesso che mi era sfuggito che i vecchi “sindacati scuola” e “sindacati università” della Cgil si erano trasformati nella “Federazione dei Lavoratori della Conoscenza”, una denominazione che dovrebbe suscitare ilarità e trascinare nel ridicolo chi l’ha pensata e messa in circolazione, se non fosse che essa esprime il peggio di ciò che i sindacati hanno fatto e continuano a pretendere di fare nei confronti del sistema dell’istruzione. Difatti essa esprime la pretesa di non occuparsi soltanto di questioni salariali e relative alle condizioni di lavoro dei dipendenti, ma di voler dettare legge sui contenuti della “conoscenza”, dalle modalità di valutazione dei docenti fino ai programmi d’insegnamento. Basta leggere le recenti proposte della Federazione dei “conoscenti” per l’università: riemerge la pretesa di indicare come debbano essere riformate le procedure dei concorsi, l’articolazione del corpo docente, fino a proporre una nuova infornata di decine di migliaia di “precari”. Insomma, l’ennesimo “ope legis” per sventrare definitivamente l’ormai boccheggiante università. Che non si conferisca a costoro il Premio Attila per l’istruzione, ex aequo con i professori Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro: questa è la vera ingiustizia italiana.
Di recente il Corriere della Sera ha intervistato un docente, il professor Franco Camisasca, persona degnissima, animata da un’inesauribile speranza nel futuro, merce ormai rara nella nostra scuola: «A scuola – ha detto – se non hai la speranza non sei niente». Ma la speranza non vela la durezza dei giudizi: «Ci sono i sindacati, che per gestire dei cambiamenti che altrimenti non riuscirebbero a controllare ci hanno fatto diventare dei burocrati». E aggiunge: «Siamo stati costantemente depotenziati. Gli esami di riparazione sono stati sostituiti con i “debiti” che si possono saldare con comodo ad aprile, quando è chiaro che nessuno boccerà più per i “peccati” commessi nell’anno precedente. Non funziona, ma è anche impossibile tornare indietro». L’altro giorno un suo allievo gli ha chiesto se abbia ancora senso studiare Manzoni nel 2007. E il compagno di banco è andato giù ancora più pesante: «Con internet voi professori che ci state a fare? – Ma le domande erano entrambe buone».
Ma come “buone”? Sono due domande semplicemente cretine! Naturalmente non è colpa degli studenti, ma del conformismo dilagante che ficca loro in testa simili scempiaggini. Cosa ci sta a fare un professore? A destare lo spirito critico e a far amare la letteratura, a spiegare che internet senza cultura è niente, un gigantesco ammasso di pagine gialle utilissimo soltanto a chi ha acquisito gli strumenti per orientarvisi. Intelligenza artificiale: mentre scrivo sul computer “Manzoni”, l’idiota correttore automatico me lo corregge in “Canzoni”. E perché mai dovrebbe essere impossibile tornare indietro? Ecco una malattia tutta italiana. In Francia, quando ci si è accorti che la riforma delle “matematiche moderne” non funzionava si è tornati indietro, e ora ancor più indietro con l’introduzione del calcolo numerico mentale negli asili. Se camminando su un sentiero si finisce su un dirupo è saggio tornare indietro, non mettere il piede avanti a tutti i costi. Ma già, tornare indietro è reazionario. Bisogna sempre essere progressisti e “andare avanti”. Come dice la canzone: «Avanti, avanti il gran partito, noi siamo dei lavorator». Della conoscenza, s’intende. Chissà quando riusciremo a liberarci dal timore di essere marchiati come reazionari dalla consociazione dei progressisti della conoscenza e dei pedagogisti rivoluzionari.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.