Presidente

Di Rodolfo Casadei
07 Febbraio 2008
Obama come Romney, Clinton come McCain. Che sia un asinello o un elefante, di certo il successore di Bush non sarà un "secolarista"

Dio, la fede, la religione non sono questioni su cui si può scherzare in un’elezione presidenziale americana. Né da abbandonare distrattamente nelle mani di candidati come Mike Huckabee, il pastore battista che sostiene di essere direttamente ispirato da Dio e che con lui presidente gli evangelici prenderanno il controllo del Partito repubblicano. Basti pensare che anche il candidato della cui religiosità gli americani più dubitano, Hillary Clinton (vedi il sondaggio del Pew Research Center, http://pewforum.org/surveys/campaign08/), una settimana fa ha preso la parola alla National Baptist Convention of America per dire: «Ecco come pratico la mia fede, vivo in base alla parola delle Scritture che dice che apparteniamo tutti alla famiglia di Dio. Cristo è venuto a predicare la Buona Novella ai poveri, a proclamare la libertà per i prigionieri, a liberare gli oppressi. La nostra fede ci chiama a fare ciò che è difficile, a dare voce ai senzavoce». E anche il candidato più riservato sulla questione, quello che ha sempre mostrato la propensione a considerare la fede un affare fra lui e Dio, cioè John McCain, in un’intervista al sito religioso Beliefnet non perde l’occasione per dichiarare: «La prima cosa che la gente dovrebbe tenere presente quando si tratta di scegliere il presidente degli Stati Uniti è: “Sarà in grado questa persona di portare avanti la tradizione di princìpi giudaico-cristiani che ha reso questa nazione il più grande esperimento nella storia dell’umanità?”».
Naturalmente tanta attenzione può apparire non necessariamente genuina, ma piuttosto interessata, visto che, come ha ricordato anche Barack Obama, «il 90 per cento di noi americani crede in Dio, il 70 è affiliato a un’organizzazione religiosa, il 38 si definisce “cristiano impegnato” e sono decisamente di più le persone che credono all’esistenza degli angeli di quelle che credono all’evoluzione». Quando si prendono in mano i programmi o i voti parlamentari dei candidati, spesso di cristiano si trova poco: la Clinton e Obama sono abortisti (la prima più del secondo), favorevoli alle unioni civili e all’utilizzo degli embrioni per la ricerca sulle cellule staminali, McCain è favorevole all’utilizzo degli embrioni soprannumerari e contrario a un emendamento costituzionale che proibisca i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Tuttavia negli interventi di alcuni candidati non è difficile trovare riflessioni di spessore sul tema religione e democrazia. Per esempio il democratico Obama e il repubblicano Romney criticano i laicisti (che negli Usa sono chiamati “secolaristi”) praticamente con le stesse parole. Ha detto Obama durante una conferenza a un gruppo pentecostale: «I secolaristi sbagliano quando chiedono ai credenti di lasciare la loro fede fuori dalla porta prima di entrare nella pubblica piazza. Frederick Douglass, Abraham Lincoln, William Jennings Bryan, Dorothy Day, Martin Luther King, e cioè la maggioranza dei grandi riformatori della storia americana, non solo erano motivati dalla fede, ma hanno ripetutamente usato il linguaggio religioso per sostenere la propria causa. Dire che gli uomini e le donne non dovrebbero iniettare la loro “personale moralità” nei dibattiti sulle politiche pubbliche è un’assurdità pratica. Per definizione la nostra legge è una codificazione di moralità, in gran parte fondata sulla tradizione giudaico-cristiana». Mitt Romney, ex governatore dell’Arkansas, ha dovuto offrire rassicurazioni supplementari all’elettorato che poteva essere spaventato della sua fede mormone («La mia candidatura non è definita dalla mia religione. Una persona non dovrebbe essere eletta a motivo della sua fede, né dovrebbe essere rigettata a motivo della sua fede. Vi assicuro che nessuna autorità della mia Chiesa, o di qualunque altra Chiesa, eserciterà influenza sulle decisioni presidenziali»), ma la sua critica delle posizioni laiciste è quasi una sinossi delle argomentazioni di Obama: «Che si tratti dell’abolizione della schiavitù, dei diritti civili o dello stesso diritto alla vita, nessun movimento di coscienza può avere successo in America se non parla alle convinzioni delle persone religiose», ha detto nel suo discorso alla George Bush Presidential Library il 6 dicembre scorso. «In questo paese separiamo la Chiesa e gli affari dello Stato per buone ragioni. Nessuna religione dovrebbe imporsi allo Stato, né lo Stato dovrebbe interferire con la libera pratica della religione. Ma in anni recenti la nozione della separazione fra Stato e Chiesa è stata portata da alcuni al di là del suo significato originale. Essi cercano di rimuovere dall’ambito pubblico ogni riconoscimento di Dio. La religione è vista come un mero affare privato che non ha posto nella vita pubblica. Si sbagliano. I Padri fondatori hanno proibito l’istituzione di una religione di Stato, ma non hanno incoraggiato l’eliminazione della religione dalla pubblica piazza. Siamo una nazione “sotto Dio”, e in Dio infatti confidiamo».
È poi sorprendente, almeno per gli standard europei, che dal democratico Obama arrivi la sottolineatura del valore intrinseco della religione e dal repubblicano mormone Romney quella della sua funzione civile. Dice il primo: «Ogni giorno migliaia di americani si sobbarcano la loro routine quotidiana (portare i bambini a scuola, andare in ufficio, fare le compere, rispettare la dieta) e sentono che qualcosa gli manca. Giungono alla conclusione che il lavoro, l’avere delle cose, i divertimenti, l’essere costantemente occupati, non sono abbastanza. Vogliono un senso, uno scopo, un arco narrativo alle loro vite. Cercano sollievo da una solitudine cronica, hanno bisogno che qualcuno gli assicuri che là fuori c’è Qualcuno che si cura di loro. Io credo nella necessità di tenere le armi fuori dalle nostre città, ma credo anche che quando il membro di una baby-gang spara indiscriminatamente tra la folla perché pensa che qualcuno gli ha mancato di rispetto, abbiamo un problema morale. Nel cuore di quel giovane c’è un vuoto, un vuoto che il governo da solo non può riempire».

Un mormone alla Tocqueville
Ascoltate Romney sul tema “religione e libertà”, e vi sembrerà di ripercorrere le pagine più ispirate della Democrazia in America di Alexis de Tocqueville: «I fondatori della nazione scoprirono il legame essenziale fra la sopravvivenza di un paese libero e la difesa della libertà religiosa. Come disse John Adams: “Non abbiamo un governo così forte da poter combattere umane passioni non più frenate dalla moralità e dalla religione. La nostra costituzione è stata scritta per un popolo morale e religioso”. La libertà ha bisogno della religione così come la religione ha bisogno della libertà. La libertà apre le finestre dell’anima in modo che l’uomo può scoprire le sue più profonde convinzioni e comunicare con Dio. Libertà e religione insieme sussistono, oppure periscono separate. Non sono sicuro che tutti noi apprezziamo le profonde implicazioni della nostra tradizione di libertà religiosa. Ho visitato molte delle magnifiche cattedrali europee. Sono così ispirate, così grandiose e così vuote! Costruite nel corso delle generazioni, oggi moltissime cattedrali restano come sfondo da cartolina di società troppo occupate o troppo “illuminate” per decidere di entrarci dentro e inginocchiarsi. L’istituzione di religioni di Stato in Europa non ha favorito le Chiese europee. E anche se troverete molte persone di forte fede, le Chiese sembrano sul punto di estinguersi. Dobbiamo esser molto grati di vivere in una terra dove ragione e religione sono amiche e alleate nella causa della libertà».
Sta di fatto che alle presidenziali di novembre con tutta probabilità non si presenteranno Romney e Obama, ma McCain e Hillary Clinton. Più inclini alle furbate che alla genuinità in materia di religione. Il senatore dell’Arizona ha recentemente rotto il suo riserbo per precisare di essere un battista praticante, e non un episcopaliano, come era universalmente noto. I battisti sono la seconda denominazione cristiana negli States, gli episcopaliani (la Chiesa in cui McCain è stato battezzato) appena il 3 per cento.

Una Costituzione cristiana
Nella sua tirata contro il farisaismo dei repubblicani alla National Baptist Convention, la Clinton ha messo sul conto dell’amministrazione Bush, insieme alla riduzione delle tasse ai ricchi e al taglio della spesa sociale, il fatto che «hanno iniziato una guerra in Iraq che è costata la vita di più di 3.900 dei nostri figli e delle nostre figlie». Peccato che proprio lei sia stata uno dei senatori democratici che hanno votato a favore di quella guerra. Alla fine dei due il più genuino è certamente McCain, che alla domanda se si può affermare che la Costituzione americana ha istituito una nazione cristiana ha risposto: «Sì, credo che si possa dire che la Costituzione ha istituito gli Stati Uniti come una nazione cristiana. Ma nel senso più ampio del termine. Non credo che la Statua della Libertà dica a chi arriva: “Do il benvenuto soltanto ai cristiani”. Noi accogliamo i poveri, gli affaticati, le masse che si accalcano. Ma quando entrano, sanno che si trovano in una nazione fondata su princìpi cristiani».

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