
Prima notte in prigione per Cuffaro, condannato anche se mancano la prove. Ecco chi è Totò
Salvatore Cuffaro ha passato la prima notte in prigione nel penitenziario di Rebibbia, dopo che la sentenza di Cassazione ha confermato la condanna di appello a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato alla mafia e rivelazione di segreto istruttorio. «Non merito questa condanna, ma non mi voglio sottrarre a tutto questo, ho la forza per vincere anche questa battaglia». Così Salvatore Cuffaro ha parlato a Luigi Compagna, il senatore del Pdl che è andato a trovarlo a Rebibbia.
Per la Procura Generale della Cassazione, l’ex governatore della Sicilia non può essere accusato di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra perché manca la prova «di aver voluto favorire il sodalizio mafioso». Di conseguenza – sempre secondo la Procura generale – si prescriverebbe l’accusa di aver favorito il boss Guttadauro e rimarrebbe in piedi solo l’accusa di favoreggiamento semplice del manager della Sanità Aiello, episodio che potrebbe prescriversi nel prossimo mese di aprile.
Ripubblichiamo un articolo di Tempi del 2007 di Emanuele Boffi che spiega chi è l’ex governatore della Sicilia.
Quel che uno come Marco Travaglio non capirà mai è che Totò Cuffaro ha una pancia indistruttibile. Rotonda, pingue, estroversa, se la porta a spasso proiettandola verso un mondo sempre più abulicamente manettaro, che giudica le persone secondo canoni stiticamente moralistici. Cuffaro mette di mezzo quel suo pancione da parto plurigemellare in ogni suo incontro, quando s’avvicina all’interlocutore e lo contamina col suo adiposo affetto, mentre porge la guancia e vasa vasa, bacia bacia.
Quel che i suoi avversari – quelli che oggi lo dipingono come un mafioso – non sanno, è che la pancia di Cuffaro è la pancia della Sicilia, senza soluzione di continuità. È fatta del medesimo materiale, patetico e coriaceo, della gente dell’isola. Cicciotta, enorme, esagerata nel bene e nel male come la gente del Sud. Grazie a una pancia così Totò non abbisogna dell’immortalità (quella che il Cavaliere si fa prescrivere dal conterraneo Scapagnini), né di nulla d’altro, avendo dalla sua tutte le viscere della sua gente.
Sulle bancarelle da quattro soldi dei mercati rionali, i negozianti vendono magliette secondo cui “Un uomo senza pancia è un cielo senza stelle”. È la definizione di Totò, senza la cui pancia la Sicilia rimarrebbe al buio. Vendono anche magliette che portano la scritta “Dio non sei tu, rilassati”, ma quelle sono per tipi tristemente magri, alla Fini o alla Veltroni. Totò è d’altra pasta, è la Sicilia concentrata in uno stomaco. Raccontano i suoi biografi che il 21 febbraio 1958 mamma Ida, maestra elementare, fece venire l’ostetrica a casa, in via Salita Rosario, tra la piazza principale e la chiesa della Madonna. Mentre papà Raffaele preparava i panni caldi e l’acqua, nacque Salvatore, salutato dall’ostetrica con un benaugurante «che masculo!». Tre chili abbondanti di mascolinità iperterrona. Papà e mamma se lo contendevano a suon di baci. Verga il biografo: «Fu l’unica volta nella sua vita che Salvatore, u’ masculu, non poté ricambiare».
Ma da lì in poi è stato un vasa vasa perpetuo, con quella pancia che s’accresceva tutta intorno all’ombelico e che conquistava con gli anni la fiducia di Calogero Mannino e poi, di vasa vasa in vasa vasa, anche il resto dei conterranei che scoprirono ben presto l’indistruttibile faccia tosta di uno che a 16 anni andava alla festa del Primo maggio a sventolare il vessillo dello scudo crociato in mezzo al rosso delle falci e dei martelli. Lo stesso che, negli anni Settanta, in università, sapeva raccogliere più voti della sinistra e che, una volta di passaggio a Milano per un convegno col giovane filosofo Roberto Formigoni, si sentì insultare dai ragazzi della Fgci. Quella volta non finì a baci e abbracci, ma a sberle e cazzotti. Ai poliziotti che lo identificarono dopo la gazzarra e che gli chiedevano come mai un giovane dc cattolico non avesse porto l’altra guancia il Totò rispose secco: «Io di guance ne ho soltanto due. E non le metto certo a disposizione dei nipotini delle Br».
Totò con la Dc s’è sposato letteralmente, celebrando il matrimonio con Giacoma in maniera golosa. Come quella torta nuziale su cui fece disegnare lo scudo crociato, con tanto d’esergo “Libertas”. Da allora è sempre e solo rimasto un siciliano, un uomo del popolo che oggi la procura di Palermo accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazioni di segreto d’ufficio nel processo per le “talpe” della Dda di Palermo. Secondo i pm Totò avrebbe informato uomini vicini alla mafia di essere intercettati. Hanno chiesto 8 anni. Otto anni che per il procuratore aggiunto Alfredo Morvillo sarebbero troppo pochi, perché non si tratta di «favoreggiamento», ma di «concorso esterno».
La vicenda è complicata, come si capisce, perché un procuratore che accusa i suoi colleghi titolari dell’inchiesta di aver sbagliato tutto, non s’è visto mai. I giornali – tutti, anche quelli di sinistra come Repubblica – hanno parlato di serpenti, di scorpioni che si mangiano vivi nella bottiglia della procura. L’ala dei caselliani contro quella dei grassiani. È anche per questo che i difensori del presidente siciliano hanno chiesto la legitima suspicione. Il clima non pare dei più sereni per esprimere un giudizio. Sulla richiesta l’udienza davanti alla settima sezione della Corte di Cassazione si svolgerà l’11 dicembre. Un pronunciamento sulla sorte di Cuffaro è atteso tra una decina di giorni: il 19 è fissata la prima riunione della Camera di Consiglio. Gli avvocati di Cuffaro hanno dichiarato che «il fatto non sussiste». Ha detto l’avvocato della difesa Antonino Caleca che «il pentito Aragona ha inventato tutto», e che non esiste alcuna intercettazione nella quale si parli della spifferata di Cuffaro.
Insomma, un castello in aria. Come che sia, il presidente siciliano ha dichiarato che, in caso di condanna, si ritirerà dalla vita politica. Lo farà per meglio difendersi “nel” processo e non “dal” processo, lo farà per senso delle istituzioni e «per i siciliani». Intanto, Vincenzo Conticello, proprietario della Antica focacceria San Francesco, caso unico di imprenditore che ha avuto il coraggio di mandare in gattabuia i mafiosi che gli avevano chiesto il pizzo, dice a Tempi: «Solo Cuffaro mi ha dato un aiuto concreto contro la mafia». La sera del 23 novembre, a cena, la sua pancia ha dato sfoggio della sua indistruttibilità. Per non farsi mancare nulla ha apparecchiato non uno, ma due tavoli. Su uno stavano formaggi e pasticci gelatinosi di ogni foggia e sapore. «Provate questo picciotti, è buonissimo». Del formaggio si mangia tutto, crosta inclusa. Del vino si beve tutto, fino all’ultima goccia. «è tutta roba che viene dalla mia campagna: questi fichi d’India sono ottimi. Roba mia. E non v’azzardate a sputare i semini».
La casa è un museo d’arte locale, stracolma di cose, quadri e libri. Qui, tempo fa, il presidente smarrì uno dei suoi cellulari. Gli amici lo cercarono per mesi, carponi sul pavimento. Nello studio Cuffaro mostra una borsetta, gadget promozionale della Regione Sicilia. Se la apri partono le note di uno scacciapensieri. «Se Santoro m’invita ad Annozero gliela porto in regalo». La mattina dopo, al cancello di casa, due donne lo attendono. Fino a qualche tempo fa, ogni santo giorno, qui si radunava una vera e propria folla che aveva qualcosa di cui metterlo al corrente. Totò se li baciava tutti. Ascoltava, prendeva nota, li rincuorava. Ma poiché questo andazzo gli rallentava gli appuntamenti della giornata, i suoi consiglieri hanno fatto in modo di sfoltire man mano la folla dei questuanti. Che però, adesso, si sono spostati all’aeroporto e capita così che ci sia gente che prende il suo stesso aereo, solo per sedersi a fianco e chiacchierare.
La vuoi la bandiera della Regione?
La mattina del 24 novembre davanti a casa ci sono solo le due signore. Cuffaro fa fermare l’automobile, scende, vasa vasa, ritira il biglietto e riparte. La prima meta della giornata è il nuovo centro per disabili “Madre del divino amore”, opera pervicacemente voluta da Ugo La Mantia, allegro imprenditore e presidente della San Vincenzo. Il centro è nel quartiere povero e malfamato che circonda la splendida Zisa. E’ il giorno dell’inaugurazione, presenti le autorità palermitane e l’arcivescovo Paolo Romeo. Quando arriva, Totò inizia subito a baciare e abbracciare. Si china ad uno ad uno su tutti i disabili in carrozzina. Di ognuno sa il nome, i crucci, le aspettative: «Raffaele, ricordami che ti devo mandare un po’ del mio vino, Nero d’Avola, quello buono». Segue inaugurazione, scoperta della targa, fanfara, pasticcini e bigné. Dicono i suoi: «Cuffaro è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via». In effetti, mentre gli altri amministratori chiacchierano fra loro, Totò si riprecipita a risalutare tutti i disabili. Se li riabbraccia, se li ribacia, se li ricoccola: «Vabbé Raffaè, te lo già detto che il vino te lo mando. Anche l’olio? Ok, ti mando anche l’olio, lo sai che sono uomo d’onore». Offre la sua pancia a tutti, dal bambino («La vuoi la bandiera della Regione siciliana?»), allo smilzo parroco della zona («Sia lodato Gesù Cristo», dice mentre lo soffoca con una stretta amichevole. E quello, appena s’è allontanato, mormora sorridendo: «Oggi è la quarta volta che mi bacia»).
Cuffaro affonda abbracci a tutti i pargoli del quartiere, s’intrattiene coi camerieri narrando le bontà della sua campagna, fa la fotografia con le hostess, riempie la borsa dei suoi collaboratori di bigliettini e indirizzi: «A te ti mando i fichi d’India. Ricordati, i semini non si sputano». La gente lo adora un tipo così, uno che ama la contaminazione col popolo, uno la cui filosofia è: «Meglio baciare tutti e dare il bacio a quello sbagliato, che non baciare nessuno». Una donna in carozzina gli presenta le figlie: «Presidente, preghiamo per lei». Lui un po’ si schermisce, cambia discorso («Che fai? Mi dai del lei, non t’azzardare»), si china sulla bambina: «La vuoi la bandiera della Sicilia?». è ora d’andarsene, una anziana tenta invano di raggiungerlo, ma ormai è già in auto. In mancanza d’altro, schiocca un bacione sulla guancia del bodyguard.
Oggi è il giorno dell’“Incontro per la pace”, evento organizzato a Siracusa dai gruppi di preghiera mariani. Cuffaro ci tiene moltissimo («Un raduno di integralisti? Non mi pare, e poi sono più integralista io»). Il 27 ottobre 2001, proprio a Siracusa affidò la Sicilia alla Madonna. Sulla strada fa fermare l’auto ad un autogrill. Scende e già tre addetti della Croce rossa l’hanno fermato: «Dottò, abbiamo un problema». Lui se li trascina davanti a un cestone di cd a basso costo. Mentre rovista, quelli lo illuminano sui loro dilemmi. Ascolta, ravana nel cestone, pesca tre cd, li rassicura, offre il caffè a tutti i presenti. Paga da mangiare a collaboratori e scorta. Regala due bandiere a due bambini, si rammarica di non poter fare la foto con la barista, esce e trova tre cacciatori. Racconta del vino della sua campagna, li invita a casa sua a mangiare («Se prendete qualche beccaccia per il vostro presidente, mica m’offendo»), disquisisce per un buon dieci minuti con un forestale sui disastri che il Punteruolo rosso (Rhynchophorus ferrugineus) provoca alle palme, si trova davanti a una giovane ragazza che, intimidita, esordisce così: «Lei non si ricorda di me». Lui le fa la radiografia: nome, cognome, albero genealogico per poi concludere: «E che, credevi di fregarmi?». Vasa vasa e riparte.
Gloriaaa gloriaaa in excelsis deoooo
Mentre l’auto sfreccia in strada, telefona, s’appisola, racconta della mamma cattolicissima, si lamenta perché Prodi snobba la Sicilia, mostra il display del cellulare: «è il Getsemani di Gerusalemme. Non è bellissimo?». Elenca le promesse che il presidente del Consiglio gli ha sussurrato all’orecchio, «ma poi è sempre bloccato da qualcuno dei suoi ministri». Politica? «Berlusconi e Veltroni vogliono andare al voto nel 2008 con questa legge elettorale. Casini, invece, vorrebbe prima cambiarla e poi votare. Secondo me, si vota a maggio. Staremo a vedere. Intanto dammi l’indirizzo che ti faccio mandare il Nero d’Avola e l’olio della mia campagna».
Nella basilica del santuario Madonna delle lacrime ci sono più di diecimila persone. Preghiere, canti, gente in fila per confessarsi, giornalisti e sacerdoti che raccontano dal palco la vicenda di Fatima. La funzione, o qualunque cosa sia, dura sei ore. Cuffaro la trascorre tutta seduto in prima fila. Ad ogni preghiera s’inginocchia, canta a squarciagola tutti i ritornelli, senza ritegno alcuno: «Gloriaaaa gloriaaaa in excelsis deoooo. Gloriaaaa gloriaaaa in excelsis deoooo». Batte le mani, ondeggia, saltella a ritmo di musica impennandosi sui tacchi. Uno spettacolo. Intanto ogni due minuti qualcuno passa a salutarlo, ma lui avrà soprattutto occhi e orecchie per una ragazza che qualche anno fa si sottopose ad una operazione rischiosa per dare una parte del proprio fegato al padre malato. Cuffaro se la coccola, la presenta a tutti, a ogni politico che passa ad omaggiarlo racconta la vicenda di questa brava ragazza («Le faccio il testimone di nozze», racconta orgoglioso). A Messa, allo scambio della pace, sta in giro per tutta la durata del canto a stringere mani. «Gli spiace molto che duri così poco questo momento», confida Francesco Inguanti, uno dei ventitrè suoi addetti stampa (che, detto tra parentesi, faticano a stargli dietro. La verità è che ne servirebbero almeno il doppio). Ad un certo punto, Giuseppe, il conduttore, lo invita sul palco. Giuseppe ha fatto le scuole dai salesiani con Cuffaro. Era uno scavezzacollo, scomparve misteriosamente per un paio d’anni e quando tornò era un devoto della Madonna senza pari.
Totò sale sul palco tra ovazioni e applausi, si imbarazza quando Giuseppe fa dire un’Ave Maria per lui e la sua famiglia, e ricorda quando il 29 agosto 1953 l’immagine della Madonna pianse. «Pianse perché la nostra terra è disperata», dice Giuseppe. Ma Cuffaro lo corregge: «Quando andai a trovare Giovanni Paolo II gli chiesi perché, secondo lui, la Madonna aveva pianto. E lui mi rispose: “Si piange per chi si ama”. Amici, la Madonna, la nostra Bedda Madre, ama i siciliani!». S’inginocchia, si recita l’Ave Maria. Cuffaro torna al suo posto. «Gloriaaaa gloriaaaa in excelsis deoooo».
Emanuele Boffi
1 commento
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!