Primarie Pd. Sarà pronto D’Alema a consegnare ciò che resta del glorioso Pci a un diccì come Renzi?

Che la linea sia quella del sindaco di Firenze o quella di Enrico Letta, il partito è condannato a morire democristiano. Alcune (semi)serie ragioni per considerare una scissione post-comunista

La vera questione in ballo l’8 dicembre, giorno delle primarie per la segreteria del Partito democratico, è l’anima, che ovviamente non è un problema da poco per chi dalla nascita del comunismo ad oggi ne nega l’esistenza. Morire democristiani, finalmente e indubitabilmente, confessando sessant’anni di peccati intellettuali, storici, giudiziari, morali; sessant’anni di presunzione di falsa superiorità morale, di equità e solidarietà venduta a poco prezzo, operaismo e lotta di classe, insomma chiedere perdono, ammettere di aver sbagliato e seguire “il vincente” nuovo eroe del “berlusconismo di sinistra” Matteo Renzi, oppure ribellarsi all’ingovernabile vittoria dei neo-post democristiani in casa propria? Ecco il dilemma dei D’Alema Fassino Finocchiaro Barca Rodotà-tà-tà. O l’anima esiste e ce l’hai ed è il momento di tirarla fuori, o l’anima non ce l’hai e muori democristiano (i democristiani, infatti, come è noto e sempre si è sostenuto, “l’anima non l’hanno mai avuta ma il potere sì”).

Certo, per domenica la partita è già persa, ma adesso bisogna decidere: o la scissione, e si torna a invocare l’anima di sinistra, quella delle migliaia di fedeli alle “feste dell’unità”, quella dei morti che si rivoltano nella tomba al pensiero di trovarsi democristiani davanti a san Pietro il giorno del giudizio, senza neanche poter difendere lo straccio di un ideale perseguito in nome della giustizia; oppure «è finita così senza un vero perché», canterebbero Little Tony e Bobby Solo.

Si dice che Massimo D’Alema, in vista della vittoria di Renzi, già stia preparando la scissione. Poverino, lo capiamo. Domenica è condannato a perdere contro il “berluschino di casa”, poi dovrà difendere con tutte le sue forze il super-democristiano Enrico Letta dalle aspirazioni dell’ego di Renzi, e gli toccherà schierare le truppe una volta devote a Marx-Lenin-Mao Tse-tung in difesa di Lupi e Quagliariello e del “diversamente berlusconiano” Angelino Alfano. Un’impresa titanica, ricca di incertezze e giocata per poter aspirare al massimo a essere un “secondo”, lui nato per essere primo.

L’alternativa è più avvincente: scissione, tornare ad essere il capo della sinistra con la “S” maiuscola, riabbracciare Nichi Vendola intristito dalle risate al telefono, resuscitare Oliviero Diliberto con una sicurezza in più: i “pirla” a sinistra non ci sono più, quelli che c’erano sono passati tutti con Beppe Grillo, dopo aver capito che la sinistra era morta hanno scelto il becchino a minor costo sul mercato, che per altro li fa anche ridere (certo, non quanto Checco Zalone). Così non dovrebbe più neppure rompersi troppo le scatole con le questioni etiche, che non sono mai state il suo forte; ci pensa già Renzi, in cerca di consensi, a tranquillizzare la lobby più potente del mondo (non quella di Goldman Sachs, quella omosessuale). Certo, un macigno ci sarebbe su questa strada: D’Alema dovrebbe accettare l’appoggio di Eugenio Scalfari, l’eretico del gruppo De Benedetti-Repubblica, che da quando ha tradotto l’invito di Francesco a seguire la propria coscienza spara giustamente contro il direttore di Repubblica Ezio Mauro. Da tempo immemore Mauro scrive corbellerie in libertà, ma Scalfari senza il “via libera” di un correttore al livello del suo Ego (il Papa) non osava più criticare.

Sì, caro D’Alema, questo sarebbe il boccone più ostico da digerire, ma se è per ritrovare la propria coscienza, ne vale la pena. Morire socialista, dopo tutto quello che è stato fatto patire a Craxi, è impossibile. Morire socialdemocratico è quel “né caldo né freddo” che fa imbestialire perfino il Padreterno. Morire democristiano MAI.

L’autore di questo articolo è stato esponente della Democrazia cristiana

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