Primarie Usa. Contro Trump si sventolano rosari alla grande

Biden si gioca tutto in South Carolina e ci prova perfino con uno spot tutto giocato sulla sua fede cattolica. Ai cattolici piacerà?

Per battere Donald Trump, si sa, vale tutto. Se i democratici non hanno esitato più di tanto nemmeno ad allestire una procedura di impeachment già praticamente persa in partenza, figurarsi se i nemici giurati del New York Times potevano lasciarsi assalire da qualche laica remora all’idea di fare appello perfino alla fede dei cristiani contro l’odiato presidente.

Martedì scorso il quotidiano di riferimento dei liberal americani ha ospitato un commento di Jon Meacham, storico e saggista, premio Pulitzer per una fortunata biografia di Andrew Jackson, che da cristiano ha avvertito l’urgenza di spiegare ai correligionari come «gli evangelici potranno anche sostenere un presidente amorale», ovvero il peccatore Trump, «ma la fede può ancora offrire una speranza di liberazione e progresso». Obiettivi che The Donald evidentemente non ha, secondo Meacham.

«RESISTENZA» RELIGIOSA

Bastano poche righe per capire che il motivo per cui i cristiani, nella concezione dello scrittore, non dovrebbero sostenere Trump è eminentemente morale, o meglio moralistico, nel senso della coerenza personale. Scrive infatti Meacham:

«Oggi per molti americani, specie i non cristiani, l’idea che la morale cristiana possa rappresentare un’utile guida in qualche ambito è risibile, tanto più dopo che gli evangelici si sono uniti a un presidente americano accanitamente solipsistico che bullizza, fa lo spaccone e irride. L’eroe politico della destra cristiana del 2020 ha usato la National Prayer Breakfast per prendersi gioco dell’ingiunzione neotestamentaria di amare i nemici, ed è chiaro che voci di primo piano del conservatorismo cristiano mettono la Corte suprema davanti al Discorso della montagna.

Tuttavia la storia suggerisce che proprio nell’attivismo religioso può risiedere la migliore speranza per quanti intendono fare resistenza all’ordine trumpiano prevalente».

CONTRO IL «PRESIDENTE AMORALE»

Può darsi che l’operazione sia solo un tentativo da parte del New York Times di arruolare quanta più gente possibile nella crociata tutta politica contro Trump. In effetti, a parte il disprezzo per un «presidente amorale» che Meacham probabilmente non vorrebbe mai trovarsi seduto accanto in chiesa, resta poco nell’articolo. Qualche suggestiva citazione del «Rev. Dr. Martin Luther King Jr.» e un richiamo finale alla croce che «non è odio ma amore, non avidità ma generosità». Il valore insomma è tutto nel titolo scelto dal quotidiano progressista: «Perché la religione è la migliore speranza contro Trump».

Non bisogna stupirsi più di tanto. L’America non è l’Italia e il New York Times non è Repubblica. Negli Stati Uniti non è affatto insolito che la fede entri con tutti i piedi nella campagna elettorale, anche l’icona dei liberal Barack Obama parlava di Dio ogni due per tre.

PRINCIPI NEGOZIABILI

In questo contesto, anche per capire qualcosa di più sulle differenze tra Italia e Stati Uniti e le rispettive concezioni di laicità, è istruttivo osservare come si orientano le intenzioni di voto dei cattolici in vista delle presidenziali di novembre. Anche perché in genere, si dice, le scelte dei cattolici americani nelle urne riflettono quelle dell’elettorato nel suo insieme.

Proprio pochi giorni fa sono usciti i risultati di un interessante sondaggio sul voto dei cattolici condotto da RealClear Opinion Research su commissione del network religioso Ewtn. 

La rilevazione conferma, da un lato, che i cattolici statunitensi sono divisi su Trump al pari degli americani in generale. Dall’altro lato, conferma anche che certi temi in teoria regolati per i cattolici da princìpi “non negoziabili” (aborto, eutanasia, suicidio assistito) non sono affatto ritenuti tali dalla maggioranza dei cristiani americani fedeli a Roma, e di conseguenza, probabilmente, non sono nemmeno un criterio di voto così importante. Non a caso, sottolinea la Catholic News Agency, stando alle risposte fornite nel sondaggio, nel 2016 fra i cattolici le presidenziali le avrebbe vinte Hillary Clinton, con le medesime percentuali di consenso registrate all’epoca nel voto popolare.

L’ECCEZIONE DEI “DEVOTI”

Il dato più interessante che emerge dal sondaggio, però, è che se fosse per i cattolici americani Donald Trump a oggi perderebbe le elezioni contro qualunque candidato democratico tra quelli attualmente in corsa nelle primarie del partito. Questo, almeno, per quanto riguarda sempre il voto popolare (non essendo “pesati” in base ai collegi elettorali, i dati non permettono di fare proiezioni su un ipotetico risultato effettivo delle presidenziali).

Trump conquista una maggioranza di elettori cattolici solo quando il sondaggista restringe il campione a «un piccolo sottinsieme di cattolici – pari al 18% degli intervistati – che dicono di credere in tutto quel che insegna la Chiesa e che quegli insegnamenti “si riflettono nel modo in cui vivo”», scrive la Cna. Fra questi cattolici particolarmente “devoti”, Donald Trump gode dell’approvazione del 63%, e addirittura di un 67% di intenzioni di voto, tra consensi convinti e quelli probabili.

Perché mai? Qualche pezzo di risposta si può trovare qui e qui: al di là dell’evidente «amoralità» di un personaggio che twitta l’inenarrabile, inneggia ai muri e non è esattamente un chierichetto né un fulgido esempio di pater familias tradizionale, Trump è il presidente americano che ha fatto di più per i cristiani perseguitati nel mondo e per combattere l’aborto (una pratica che non ha più niente del “diritto” e somiglia sempre più a un’industria: anche per questa coscienza l’America non è l’Italia).

TIPI CRISTIANI

Per carità, sono solo suggestioni che non hanno un valore di studio sociologico o di statistica ufficiale, ma il semplice accostamento delle uscite – l’appello del New York Times e il sondaggio di RealClear – sembra dire qualcosa sui cattolici americani e più in generale sui “tipi cristiani” a cui si rivolgono i democratici e i repubblicani.

Ad aggiungere riflessione c’è anche il dato secondo il quale il candidato democratico più convincente agli occhi degli elettori cattolici intervistati per Ewtn sarebbe proprio il cattolico Joe Biden, già senatore del Delaware e soprattutto ex vicepresidente di Obama.

Considerato “front runner” alla vigilia delle primarie, Biden è stato surclassato nelle prime tre tappe della corsa alla candidatura presidenziale dei democratici non solo dal “socialista” Bernie Sanders, ma anche dal nascente astro liberal Pete Buttigieg. Tanto che l’appuntamento di oggi in South Carolina – dove Biden è in testa nei sondaggi – è già secondo alcuni osservatori la sua ultima chance per non doversi arrendere anzitempo.

E che cosa ha fatto Biden per provare a riprendere lo slancio perduto? Ha scelto di diffondere uno spot promozionale tutto incentrato sulla sua fede cattolica. Se non è un rosario sventolato, poco ci manca.

LA FEDE COME CONSOLAZIONE

«La fede è ciò che mi ha permesso di superare i periodi difficili della mia vita», recita la voce di Biden nel video. Scorrono le foto in bianco e nero di lui che piange la moglie e figli perduti, lui che chiacchiera col prete, lui che siede in chiesa, lui che parla dal pulpito, lui che prega. E lui con papa Francesco, ovviamente.

Dice la réclame elettorale di Biden:

«Per me personalmente, la fede, è tutta una questione di speranza e di scopo e di forza, e per me la mia religione è proprio un enorme senso di consolazione. Vado a Messa e dico il rosario. Lo trovo incredibilmente confortante».

A questo punto, parlando di rosari, coscienze religiose e politica, non si può non ricordare il recente clamoroso voltafaccia sull’aborto imposto dai lobbisti democratici allo stesso Biden. Per decenni l’ex senatore cattolico è rimasto contrario all’impiego dei soldi dei contribuenti per finanziare le interruzioni di gravidanza. Anche in questo risiedeva la “moderazione” considerata un punto di forza dai suoi sostenitori. Pochi mesi fa, assediato da rivali del partito e dal suo stesso staff, Biden si è appiattito sulla retorica dell’aborto come “diritto” senza se e senza ma. 

Visto sotto questa luce, lo spot sulla fede di Biden diventa davvero emblematico di uno dei “cristianesimi” in campo nella contesa per la Casa Bianca. Un voto che riguarda anche il perimetro che sarà concesso alla coscienza cristiana nello spazio pubblico americano. Biden o non Biden, la domanda è sempre la stessa: meglio un «presidente amorale» che fa cose da cristiano o un presidente cristiano che adotta la morale del partito?

Foto Ansa

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