PRODI E L’ULIVO. SCENE DA UN FALLIMENTO

Di Gianni Baget Bozzo
30 Settembre 2004
Romano Prodi gioca di colpo tutte le sue carte.

Romano Prodi gioca di colpo tutte le sue carte. Alla Margherita chiede di rinunciare alla sua tesi di andare alle elezioni regionali con liste separate dei vari partiti: vuole il listone, come alle europee. Ai Ds dice che vuole quaranta candidati al Parlamento designati da lui nei collegi non conquistati dalla sinistra nel 2001: vuole cioè un certo numero di eletti che facciano capo a lui, e non ai partiti, perché eletti dalla sua vittoria. A tutti dice che non è interessato al partito riformista come partito di partiti: il suo obiettivo è una lista elettorale senza partiti in posizione dominante: in sostanza, il listone Prodi.
Egli ha messo così i suoi interlocutori in grande imbarazzo. Sono mesi che dicono di volere Prodi come leader di una coalizione di partiti, che lo vedono come unico collante dei partiti stessi. Ora si rendono conto che Prodi non vuole essere il semplice collante delle diversità. Esse possono rimanere, l’importante è che ci sia il listone Prodi e che tutti gli eletti siano eletti come prodiani e non come appartenenti ai partiti che rappresentano.
Si è giunti così a un vero punto di stasi perché i partiti non sanno dire di sì e non possono dire di no. Dire di sì significa annacquare la realtà politica che li fa esistere, la memoria di un passato politico che essi ritengono tuttora come la loro identità. Accettare di diventare degli eletti prodiani senza memoria storica è per essi perdere il motivo della loro esistenza politica. Non sanno dire “sì” a Prodi se non dicendo “no” a se stessi.
Dire “no” significa ammettere di essere così divisi che solo Prodi può unirli: e in che cosa può unirli Prodi se non nel “prodismo”, nel comune destino “prodiano”? Essi hanno eletto Prodi come loro re e si stupiscono poi che egli voglia veramente regnare. La partita è giunta a questo punto e bisogna vedere chi farà la prima mossa. Ambedue, sia Prodi che i partiti, vogliono stare insieme e non hanno alternative allo stare insieme, la loro unità è la condizione della loro possibilità di successo politico.
La politica italiana è ingegnosa ed è probabile che ora inizieranno le grandi manovre per raggiungere un compromesso. Tuttavia Prodi per il momento è in condizioni vincenti, egli può avere altri destini che non di fare il candidato della sinistra. Non è obbligato a regnare, soltanto è la sola cosa che in questo momento egli desidera. Comincia dunque il braccio di ferro: se la sinistra deve esistere, bisognerà pure che abbia la capacità di risolvere il problema, per ora insolubile, di far essere ciascuno se stesso e diventare una sola cosa.
Il problema è lo stesso di quello dei giorni del primo Ulivo, quando Prodi e Veltroni percorrevano le strade d’Italia. Ed il primo Ulivo finì ingloriosamente, ucciso dal suo “azionista di riferimento”, cioè dal segretario dei Ds con la mediazione di Cossiga.
La commedia di oggi è già stata giocata e il suo risultato è stato fallimentare. Nonostante l’egemonia nelle istituzioni, nell’economia, nella finanza e nella cultura, l’Ulivo finì sfracellato. Ottenne di governare una legislatura con tre governi diversi, con tre formule diverse. Oggi le cose sono al punto di prima, la scrittura della commedia è identica, i personaggi sono gli stessi: Prodi, D’Alema, Marini. Questa volta il rischio è che l’impresa mostri la corda del suo fallimento non dopo le elezioni, come nella volta precedente, ma prima di esse.
La sinistra italiana si è posta in una condizione politicamente impossibile volendo conservare la sua identità, anzi tutte le sue identità, ed apparire con una sola prospettiva di governo.

bagetbozzo@ragionpolitica.it

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