
PRODI, PRC E REP. TUTTI PAZZI PER LE TASSE
Già il primo governo Prodi era stato all’insegna del rapporto con Bertinotti. Ciò era richiesto dal problema di sganciarsi da una dipendenza prevalente dal Pds. Quando Bertinotti venne meno, cadde il governo Prodi. Ora si delinea una situazione in cui Rifondazione Comunista non è solo chiamata a votare ma a partecipare al governo: e l’intesa è sulla questione fiscale. Da quando Berlusconi ha posto il problema del fisco nel senso di una rimodulazione delle imposte sui redditi, il tema fiscale è diventato oggetto di politica. La sinistra ha indicato una sua linea su questo problema con l’imposta al 20% sugli investimenti finanziari ed il 5% che colpirebbe coloro che hanno beneficiato dello scudo fiscale che con la legge di Tremonti permetteva il rientro dei capitali espatriati. La chiave della linea di accordo con Bertinotti è un’imposta sui patrimoni, che Bertinotti vorrebbe chiamare un’imposta sulle grandi ricchezze: su di esse si trova d’accordo anche Eugenio Scalfari.
Giuseppe De Rita ha offerto nel bilancio annuale del Censis le basi di questa politica. Scrive il Censis: «Oggi i processi mutanti sono due: la divaricazione crescente tra ceti patrimonializzati e ceti di puro reddito; e la tendenza ad attestarsi tutti su quella combinazione antica dei comportamenti economici (la combinazione fra sobrietà e medietà) che ha fatto la nostra storia». Per De Rita «è più utile distinguere fra componenti in impoverimento (quella dei percettori di reddito fisso) e la componente in arricchimento (i patrimonializzati)»: come si vede il partito delle tasse è all’opera ed intende colpire l’investimento popolare in Italia e l’investimento sul mattone. Questa è la base dell’accordo Prodi-Bertinotti su cui Repubblica è d’accordo.
La questione fiscale è divenuta dominante e la sortita di Berlusconi ha messo in chiaro le intenzioni fiscali del prodismo. Bisogna vedere se questa intesa tra il grande capitale ed il prodismo coinvolgerà anche le altre componenti del nuovo Ulivo, del partito riformista, ma è chiaro che la sinistra può ricorrere ad uno strumento della patrimoniale usata solo negli anni ’40 per colpire le ricchezze nate dal mercato nero, gli arricchimenti dovuti alle circostanze drammatiche in cui è stato coinvolto il paese.
Questa linea non corrisponderebbe finora ad una scelta globale della coalizione di sinistra, ma essa copre componenti significative del grande capitale che Scalfari rappresenta e l’estrema sinistra. Sarà così evidente che chi vota per la sinistra vota per l’inasprimento delle imposte sui ceti medi e medio alti. L’intesa fra Prodi e Rifondazione è sempre stata la chiave del prodismo che vuole bilanciare l’alleanza con il Pds come una combinazione più a sinistra. Nessun paese europeo conosce l’imposta patrimoniale e quindi è improbabile che essa possa avere un consenso diffuso, ma il fatto che sia stata manifestata ed avallata con il rapporto Censis indica che il pericolo è reale e colpirebbe la proprietà della casa almeno ad un certo livello di reddito e scoraggerebbe gli investimenti finanziari. La società italiana ha trovato un suo equilibrio nella sobrietà e medietà, e sobrietà e medietà, per usare il linguaggio del Censis, sono richieste anche ai politici ed ai legislatori.
L’Ulivo non ha ancora fatto la sua scelta ma questa rischia di essere imposta dall’alleanza tra Prodi e Bertinotti portando a livello più alto la già elevata pressione fiscale sul popolo più tassato d’Europa.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
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