
Prof. Paoluzzi: «La mia scuola 2.0 nel nome dell’autonomia scolastica»
Il neoministro dell’Istruzione Francesco Profumo ha annunciato un Piano straordinario per la scuola del Sud, dopo aver sbloccato quasi un miliardo e mezzo di euro di fondi europei. Tra i capitoli di intervento si segnala l’innovazione digitale delle classi e l’introduzione della banda larga. A Civitanova Marche, nel Circolo Didattico “Regina Elena”, scuola elementare statale, è partita in queste settimane un’esperienza che potrebbe fungere da modello per l’intero sistema scolastico nazionale.
«Siamo partiti da uno straordinario video del ministero, realizzato dal prof. Giovanni Biondi, responsabile del dipartimento per la programmazione, dove veniva messa in evidenza l’inadeguatezza dell’ambiente scolastico, rispetto alle nuove offerte tecnologiche» spiega a Radio Tempi il prof. Leonardo Paoluzzi, preside del Circolo didattico “Regina Elena”. «Questo video, anche se straordinario, era debole nella proposta risolutiva: i tempi di realizzazione della “classe 2.0” erano troppo lenti, incompatibili con le esigenze concrete della scuola. Avessi atteso gli strumenti dal ministero, sarei rimasto con due sole lavagne interattive per ventisei classi».
E quindi che cosa avete fatto?
«Partendo da questa realtà, abbiamo organizzato 26 riunioni, una per ogni classe. Insieme ai genitori ci siamo trovati d’accordo sul fatto che i loro figli avevano subito bisogno di cambiare l’ambiente di apprendimento e che nessuno di noi poteva aspettare i tempi del ministero. Sarebbero passati anni. Ogni nucleo familiare ha messo sul tavolo le risorse di conoscenza che aveva a disposizione. La scuola ha fatto la sua parte, impegnandosi per i corsi di aggiornamento per gli insegnanti, si è assicurata con l’aiuto del Comune il cablaggio degli edifici e i genitori sono diventati splendidi ambasciatori della scuola, trovando sul territorio sponsor che hanno praticamente finanziato il progetto chiamato “Aula mia 2.0”».
Qunidi hanno partecipato attivamente anche i genitori?
«Hanno rivendicato una sorta di proprietà sull’aula dei loro figli, per tutto il tempo che gli studenti fossero stati impegnati nel ciclo primario. La raccolta dei fondi necessari si è realizzata in pochissimi giorni, tanta è stata la passione che hanno messo in campo in questo progetto».
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E se qualcuno obiettasse che il profitto derivato dagli sponsor non dovrebbe intromettersi nei luoghi pubblici, come, per esempio la scuola?
«In questo caso c’è stata un’interpretazione autentica dell’autonomia scolastica, funzionale a garantire la miglior offerta del progetto educativo scolastico. Per quanto riguarda l’obiezione possibile per l’intervento di privati in una scuola pubblica, rispondo che questo è un esempio virtuoso e spero molto che possa essere possibile per altre realtà scolastiche: la partecipazione di tutti ha cambiato e sta cambiando la didattica della nostra scuola».
Ci siete riusciti nonostante i tanto contestati tagli del precedente governo?
«Al termine di ogni incontro che facevamo nelle classi, ci dicevamo: o ci piangiamo addosso e aspettiamo che qualcuno tra dieci anni risolva i nostri problemi o ci organizziamo a risolverli nel migliore dei modi. L’adesione a questa seconda proposta è stata sempre immediata e totale».
Si dice sempre che le scuole statali cadono a pezzi. Voi siete un esempio virtuoso.
«Con me sfonda una porta aperta, ho sempre pensato che la scuola pubblica statale possa essere una scuola di eccellenza: basta avere delle idee e condividerle. A proposito, per il successo di questo progetto mi lasci ringraziare il gruppo di maestre con il quale lavoro, che hanno accolto con entusiasmo e professionalità, rischiando in prima persona. Un’idea buona verrà sempre condivisa con gli alunni, i genitori e tutte le realtà del territorio che sono interessate al realizzarsi di una buona scuola».
Ascolta l’intervista integrale
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