Prometheus, spettacolo per gli occhi con qualche scivolone di troppo

Di Paola D'Antuono
13 Settembre 2012

La fantascienza è materia di Ridley Scott, anche se il regista ne ha fatto passare di tempo prima di ritornare al suo primo amore. In mezzo, molte pellicole dimenticabili e da dimenticare (basti pensare a Russel Crowe in calzamaglia per Robin Hood…), che gli hanno fatto perdere un po’ di credibilità, a cui ha accostato esperimenti seriali per la televisione di indubbio spessore, come i Pilastri della Terra. Il suo Prometheus, in uscita in Italia venerdì 14 settembre, lo aspettano in tanti, come non succedeva dai tempi di Alien e Blade Runner, i due capolavori fantasy che lo hanno consacrato come maestro del genere.

LA CREAZIONE. Nel 2093 la navicella spaziale Prometheus sta per atterrare su un pianeta distante anni luce dalla Terra. A bordo ci sono 17 membri dell’equipaggio: due archeologi, Shaw e Holloway, autori di alcune importanti scoperte, un gruppo di scienziati, David, un robot dalle sembianze umane programmato per assisterli, e Vickers, a capo della multinazionale che ha finanziato la spedizione. Lo scopo degli studiosi è avere la prova dell’esistenza di forme di vita intelligenti, ribattezzate gli Ingegneri, responsabili della creazione degli esseri umani. Ma l’arrivo sul pianeta misterioso metterà i protagonisti davanti a un mondo del tutto inaspettato e sopravvivere sarà molto difficile.

INTERROGATIVI SENZA RISPOSTA. Il progetto Prometheus (dal nome tutt’altro che casuale) è nato anni fa dalla volontà di Ridley Scott di dare vita a una sorta di prequel di Alien. Con il tempo, la storia è diventata autonoma e i rimandi al film del 1979 si contano sulla punta delle dita. Anche in quest’ultima fatica è una donna a guidare il gruppo (interpretata da Noomi Rapace) e sarà lei a correre i maggiori rischi e a porsi in contrapposizione con la sua antagonista, una donna bionda e algida (Charlize Theron) per cui la missione rappresenta solo un investimento economico da risolvere nel minor tempo possibile. La ricercatrice Shaw, a differenza dei suoi compagni, è guidata dalla fede cristiana che non mette in dubbio nemmeno quando le sue scoperte scientifiche la portano alla scoperta di una razza superiore che ha inventato gli umani e poi li ha condotti sulla Terra. Come fanno le due posizioni a incontrarsi? Non lo sa nemmeno lei e nel film non c’è nessun tentativo di risposta. Ed è qui che sorgono i primi problemi: la pellicola apre diverse sottotrame, s’ingarbuglia attorno a una serie di considerazioni, affermazioni, quesiti, che raramente trovano risposta. E un motivo c’è: Prometheus nasce chiaramente con l’intento di dar vita a un sequel, se non addirittura a una trilogia e il finale sembra confermare questa ipotesi. Sono troppi gli interrogativi che la visione fa nascere e che rimangono sospesi in un limbo: perché questi Ingegneri ci hanno creati? Chi sono i loro nemici? Perché ora gli Ingegneri odiano il genere umano? Nel mondo invaso da tempeste di silicio, dove l’aria è irrespirabile e dove non cresce nulla, gli scienziati si avventurano alla ricerca, quasi ingenua, di esseri superiori disposti, in maniera pacifica, a rispondere a tutte le domande che da sempre l’essere umano si pone ma i risultati non sono quelli sperati. Almeno per il momento.

POTERE ALLE DONNE. Due sono gli aspetti del film che meritano l’attenzione maggiore: la costruzione di un mondo altro, alieno e inospitale, in un futuro che non sembra riservare nulla di buono agli esseri umani e la costruzione dei personaggi. In particolare il robot David e le due donne protagoniste, la bruna Shaw e la bionda Vickers. Sono loro i tre perni attraverso cui si muove l’azione e che rendono la storia interessante. David è un automa creato per servire gli umani, che in fondo disprezza e da cui spera di liberarsi presto. Non ha sentimenti e ha una sola curiosità da soddisfare: provare a entrare nel mondo degli Ingegneri, forse con l’intento di governarli. Dal canto loro Shaw e Vickers sono due capibranco con una visione molto diversa della missione che alla fine si troveranno di fronte a uno spettacolo di desolazione e morte che non avrebbero immaginato e che farà vacillare le loro convinzioni (ma non la fede di Shaw). Scott costruisce attorno alle loro figure sequenze di una spettacolarità senza precedenti, curate nei minimi dettagli, talmente perfette da sembrare reali. Nella navicella ricrea un microcosmo abitato da personalità diverse, in conflitto tra scienza, superstizione e fede, che non lesinano momenti di ironia sempre tenendo la tensione emotiva al massimo e contribuendo a rendere la visione del film un’esperienza piacevole, sopratutto per gli occhi. Il 3D non è una presenza troppo fastidiosa, ma non aggiunge nulla a una pellicola spettacolare di per sé, non indimenticabile ma di sicuro godibile.

 

Vale il prezzo del biglietto? Dieci euro per una visione 3D forse sono troppi
Chi lo amerà? I giovani e gli amanti degli effetti speciali
A chi non piacerà? A chi si aspetta sempre una conclusione definitiva

 

@paoladant

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.