
Proponendo i Dico invece che politiche familiari il governo cade in un vecchio fossato ideologico
Intorno alla famiglia, la scorsa settimana si sono accesi gli ultimi fuochi di una conflittualità estenuata, artificiosa e pretestuosa. Chi è andato in piazza San Giovanni per il Family day non ha pensato affatto di negare diritti ad altri, ma semplicemente di difendere diritti naturali essenziali e intangibili. L’effetto dell’iniziativa del governo è stato quello di animare nella società italiana un dibattito fuori fuoco, come purtroppo capita spesso al nostro bipolarismo tribale, che confonde i princìpi con gli interessi, i valori con le convenienze.
Personalmente, avrei capito molto meglio se l’iniziativa legislativa fosse nata in presenza di una contestuale svolta a favore della famiglia. L’ho già scritto su queste colonne, che ci ritroviamo con un sistema fiscale tra i più ostili alla famiglia rispetto a tutti i maggiori paesi europei, e non è il caso di ripetermi. Invece il premier Romano Prodi ha scartato il quoziente familiare come «non abbastanza redistributivo»: riuscendo, a mio giudizio, nell’ulteriore capolavoro non solo di incentivare la falsa contrapposizione tra ciò che è tutelato dal diritto naturale e ciò che più modestamente va riservato al diritto positivo, ma altresì di mettere l’una contro l’altra l’esigenza di tutelare di più la famiglia, rispetto a quella della giustizia sociale.
Sono convinto, per l’amore che bisogna portare agli esseri umani e che ci deve insegnare a posporre le divisioni politiche, che certo il premier non pensava affatto, dicendo ciò che ha detto del quoziente familiare, che l’effetto sarebbe stato quello di scavare un fossato aggiuntivo che ci impedirà negli anni di effettuare quella svolta a favore della famiglia che sarebbe interesse prioritario del paese, al di là di come la si pensi sul vincolo del matrimonio, sulla stessa fede in Dio e sui sacramenti. Eppure, è puntualmente avvenuto. E a questo punto non resta che sperare che gli eccessi delle ultime settimane siano destinati ad assopirsi. Del resto, al centrosinistra i Dico non sembra proprio abbiano portato bene, senza contare il fatto che appare proprio impossibile che il disegno di legge in questione venga approvato dal Parlamento.
Purtroppo, anche quello che ha separato tutela della famiglia e giustizia sociale è un fossato di ascendenza ideologica. È la differenza che passa tra uno Stato che lasci fare a persone e famiglie, convinto delle esternalità positive che all’intera comunità nazionale e al mercato possano venire dalla loro massima sfera di libera scelta con il massimo di risorse disponibili; e chi pensa invece che tali benefici debbano essere posposti, rispetto alla prioritaria esigenza dello Stato di reperire risorse fiscali da amministrare centralmente e discrezionalmente, scegliendo fior da fiore con criterio politico i soggetti ai quali destinarli e quelli invece ai quali negarli. È la differenza tra la concezione dello Stato che aveva un cattolico a tutta prova come don Sturzo e quella che ha invece animato la tenace passione politica del cristianesimo sociale di Dossetti. Di Dossetti e dei suoi epigoni, che si credono fedeli alla lezione del maestro pur prestandone il magistero a politiche di impronta statalista e socialista.
L’eguaglianza è nemica delle diversità, mentre le persone crescono diverse quanto più le famiglie hanno risorse e facoltà di scelta. Che tanti cattolici siano convinti che la scintilla divina presente in ogni essere umano debba declinarsi nell’assoluta uniformità omologante, sembra a me – che mi interrogo sulla fede – talvolta persino un dubbio sull’infinita versatilità di Dio. Anche se non bisogna esserne convinti, per battersi per meno tasse alle famiglia.
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