Putin appeso a un Caucaso

Di Gian Micalessin
19 Gennaio 2000
L’erede di Eltsin promette che non sarà un nuovo Afghanistan. Ma intanto le violenze contro i civili e le perdite delle giovanissime reclute al fronte ridanno fuoco alla propaganda antirussa e spingono la popolazione cecena nelle braccia della guerriglia sponsorizzata dall’internazionale islamica

Nel Caucaso, dicono, la storia ama ripetersi. Ne sa qualcosa in questi giorni amari il generale Vladimir Shamanov. Si dice che lui la storia l’avesse studiata. Aveva ripassato le lettere e i diari del suo predecessore, quel generale Yermolov che in Cecenia mise piede ai primi dell’800. “Voglio che il terrore del mio nome sia la miglior guardia per i nostri confini” – scriveva Yermolov al proprio zar. Intanto strangolava lentamente le basi dei ribelli ceceni avanzando nelle pianure e circondando le montagne, privando i guerrieri di viveri e rifornimenti, massacrando chi tentava di fuggire.

I generali silurati da Putin Vladimir Shamanov, comandante del fronte occidentale ceceno, si sentiva uno Yermolov del ventunesimo secolo. Quando un rappresentante degli abitanti di Alkhan Yurt massacrati a colpi di bomba a mano da soldati ubriachi, andò a protestare con lui per le violenze e le razzie Shamanov lo ascoltò senza fiatare. “Pensate che un generale non sappia quello che fanno i propri soldati – disse poi – I miei soldati eseguono sempre e soltanto i miei ordini”. Passo dopo passo Shamanov aveva conquistato da settembre a oggi tutta la Cecenia occidentale. Nel sud si preparava, come il suo predecessore, a stringere lentamente d’assedio le roccaforti ribelli. “Se qualche politico darà ordine di frenare la mia avanzata mi strapperò le insegne” aveva detto lo scorso ottobre. “Gli ufficiali russi – aveva aggiunto – non possono ricevere un altro schiaffo in faccia. Se qualcuno cercherà di fermarci l’intero esercito si rivolterà”. Lo schiaffo alla fine è arrivato. La scorsa settimana il nuovo zar di Russia Vladimir Putin ha destituito lui e il suo omologo Gennadi Troshev comandante del fronte orientale. Principale colpa dei due generali l’incapacità di conquistare Grozny. Ma in Cecenia la storia si ripete un po’ per tutti. I sottoposti di Shamonov e Troshev subentrati ai loro comandanti stanno sperimentando in questi giorni una replica esatta della guerra del 1995.

Bombe poco intelligenti Apparentemente accerchiati nella capitale e dispersi tra le montagne del sud i guerriglieri ceceni sono improvvisamente risorti conducendo un’offensiva che ha sottratto dall’isolamento Grozny e tagliato le vie di comunicazione russe verso sud. Cos’è successo? Nulla di nuovo. Costretto ad affrontare in terreno aperto la guerriglia e a farsi strada tra le macerie e i campi minati della capitale l’esercito russo sconta ancora una volta lo scarso addestramento, la mancanza di morale e di preparazione. Fin qui la guerra è stata combattuta da grande distanza. I generali si sono affidati all’artiglieria e all’aviazione per sloggiare dai principali centri le forze della guerriglia. Una guerra tutt’altro che chirurgica, fatta di villaggi rasi al suolo e violenze indiscriminate contro la popolazione civile. Una guerra che ha finito con il rinsaldare la perduta solidarietà tra la guerriglia e i civili ceceni. Fino a pochi mesi fa la gran parte della popolazione civile – delusa dagli errori del governo del presidente Aslan Maskhadov e atterrita dalle scorribande di personaggi come Shamil Basaiev e degli altri signori della guerra finanziati dalle sette wahabite – non sembravano più disposti a versare una sola goccia di sangue per la propria patria. Le bombe russe e le incursioni dell’aviazione di Mosca li hanno lentamente convinti a cambiare idea.

La conta dei morti Rinsaldatisi i legami tra civili e combattenti la guerriglia ha ripreso a nuotare come un pesce nell’acqua. Così come era successo agli inizi del ’95 e poi nel 1996 i guerriglieri hanno rotto l’assedio di Grozny e inflitto gravi perdite all’esercito russo. Dall’altra parte incontrano un esercito di coscritti che da settembre a oggi non è mai riuscito ad intascare l’agognato soldo di mille dollari al mese promesso dal Cremlino. La conta dei morti ridiventa ora il grande gioco di questa seconda guerra cecena. Fino ad oggi le madri russe, grandi protagoniste delle proteste del ‘95, erano rimaste silenziose. Silenziosa era rimasta anche la stampa. Ma oggi le cifre ufficiali della guerra – non più di 600 soldati morti e poco più di 1500 feriti – non sembrano più convincere nessuno. “La mancanza d’informazione è tremenda, – ha dichiarato in un’intervista alla radio Ekho Moskvy Valentina Melnikova, portavoce dell’”Unione delle madri dei soldati” aggiungendo che a dispetto delle cifre ufficiali il numero dei soldati morti supererebbe già il migliaio. Un capitano appena rientrato dal fronte e intervistato dal quotidiano Segodnya ha lanciato dure accuse contro i propri superiori per le tattiche usate nell’assedio di Grozny. “Ci hanno costretti ad entrare in città e poi hanno lasciato che ci facessero a pezzi. Le perdite, che già erano grandi, adesso stanno aumentando di giorno in giorno”. Sulle vittorie cecene Vladimir Putin aveva edificato in pochi mesi la propria immagine di nuovo leader. Sulle sconfitte cecene potrebbero infrangersi nei prossimi sessanta giorni i suoi sogni di novello zar.

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