Quando i cristiani si uniscono ai loro persecutori (per educazione)

Di Matthew Schmitz
17 Febbraio 2019
In Occidente la guerra ai cristiani non è condotta da tiranni con la spada. Spesso sono gli stessi cristiani a farla, con l’obiettivo di adulare e servire il loro superiori mondani. Vedi il caso Covington

Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un articolo di Matthew Schmitz, senior editor di First Things, apparso nel numero del 7 febbraio del magazine cattolico londinese. Il testo originale in inglese è disponibile anche online in questa pagina.

I cristiani in America e in Europa sono perseguitati. Questa non è la sguaiata contestazione di qualche allarmista di destra, ma la sobria affermazione del vescovo di Roma. Sul luogo in cui fu crocifisso san Pietro, in occasione della festa di santo Stefano nel 2016, papa Francesco ha descritto come i cristiani in Occidente si trovino ad affrontare una forma di «persecuzione educata» che «toglie agli uomini e alle donne la libertà, così come il loro diritto all’obiezione di coscienza».

«Il capo di questa persecuzione “educata”, Gesù lo ha nominato: il principe di questo mondo», ha detto Francesco. «E quando le potenze vogliono imporre atteggiamenti, leggi contro la dignità del figlio di Dio, perseguitano questi e vanno contro il Dio creatore. È la grande apostasia».

La persecuzione educata ha fatto notizia diverse volte negli ultimi mesi. Abbiamo visto la senatrice Kamala Harris raccomandare la messa al bando dalla magistratura per i Cavalieri di Colombo. Abbiamo visto un’orda online abbattersi sugli studenti del Covington Catholic. Abbiamo visto Brian McCall, preside della Oklahoma University School of Law, cacciato a causa delle sue opinioni “sessiste” e “omofobe”, che si spingevano appena oltre la visione cristiana tradizionale sull’umiltà e la natura del matrimonio. Ai lettori britannici il fenomeno dovrebbe risultare familiare: un esempio recente è quello di padre Mark Morris, che si è visto togliere l’incarico di cappellano universitario dopo aver celebrato un rito di riparazione per la parata del Glasgow Pride. 

Uno degli aspetti più curiosi della persecuzione educata è il rifiuto da parte di molti cristiani di riconoscerne l’esistenza. Se un qualunque cristiano di Occidente dice che qui la Chiesa subisce una persecuzione, si può stare certi che uno dei suoi correligionari lo accuserà di esagerare. È qui che sta la grande insidia della persecuzione educata. Non è perpetrata da tiranni con spada e sandali pronti a ricorrere a mezzi brutali, spesso è praticata dagli stessi cristiani con l’obiettivo di adulare e servire i loro superiori mondani. Ogni volta si affrettano a denunciare altri cristiani come “carichi d’odio”, “insensibili” e “intolleranti” – in una parola, maleducati.

L’anticattolicesimo oggi è in buona misura un auto-disprezzo cattolico. Come gli italiani e gli irlandesi che si sono guadagnati il proprio posto al country club e adesso non sopportano le conversazioni sui gangster tipo Tony Soprano o Whitey Bulger, allo stesso modo ai cattolici educati non piace ricordare che, nonostante tutto, professano pur sempre una fede fuori moda. Per queste anime in scalata sociale, professare la dottrina cristiana sul sesso è appena meno grave di gestire un racket estorsivo o assoldare un sicario. Non solo cercano di dissociarsi da tali cristiani, ma fanno di tutto per metterli a tacere e sopprimerli.

Quando Dianne Feinstein ha detto a Amy Coney Barrett «il dogma vive con forza dentro di lei, e questo è preoccupante», subito Cathleen Kaveny si è precipitata a dichiarare sul Washington Post che «no, Dianne Feinstein non è un’anticattolica intollerante». Quando papa Francesco incontrò Kim Davis, una funzionaria che si era rifiutata di partecipare al rilascio di licenze di matrimonio tra persone dello stesso sesso, un commentatore come padre James Martin si disse preoccupato perché le persone avrebbero «usato questo incontro per sostenere la propria agenda» – e poco importa il fatto che la Davis era diventata famosa per aver difeso un principio che condivide con i cattolici. Quando i pro-life si riuniscono a centinaia di migliaia per la Marcia per la vita, spuntano sempre cattolici pronti a criticare l’iniziativa perché quest’ultima sottolinea una serie troppo ristretta di temi. 

Questa dinamica si è ripetuta in maniera molto accentuata nel caso degli studenti del Covington Catholic. Non appena i liceali sono stati accusati di razzismo e misoginia per aver preso parte alla Marcia per la vita e avere indossato cappellini pro Trump, il vescovo di Lexington John Stowe ha scritto un commento che dava a intendere come quei ragazzi avessero deciso di «allearsi acriticamente» con Trump. A quanto pare non aveva visto il video integrale, nel quale si vedono gli studenti di Covington ignorare i membri dei Black Hebrew Israelites che li apostrofavano con provocazioni gay e commenti razzisti. I ragazzi di Covington non sono affatto avatar della alt-right, come invece alcune fervide immaginazioni credono che siano tutti i sostenitori di Trump.

Quando una qualsiasi corrente di pensiero è in ascesa, si tende a tollerare anche le sue espressioni grezze e offensive. È il motivo per cui Sarah Jeong – autrice di cose come «Ragazzi, è da malati la quantità di gioia che traggo dall’essere crudele con i vecchi maschi bianchi» – ha potuto essere assunta dal New York Times. L’antirazzismo è un’ideologia in ascesa, quindi le persone che lo difendono in modo rozzo sono considerate troppo zelanti, magari, ma sostanzialmente nel giusto. Quando invece una corrente di pensiero cade in disgrazia, solamente le sue espressioni più meditate e raffinate possono essere tollerate – si potrebbe quasi dire: solo quelle espressioni che sono state depurate da ogni chiarezza, forza e potenza. Prendete l’opposizione al matrimonio tra persone dello stesso sesso e le relazioni sessuali. Ci si può permettere di sollevare qualche sottile obiezione, ricorrendo alla terminologia tomistica, a proposito delle corrette finalità del sesso. Ma di certo non si può discutere la questione nei termini rozzi utilizzati da Phil Robertson di Duck Dynasty.

Questo significa in pratica che le affermazioni cristiane possono essere asserite soltanto da una classe selezionata che abbia imparato a destreggiarsi con le maniere del linguaggio utilizzate dai detentori di lauree nelle arti liberali. Dal momento che spesso i cristiani che finiscono nei guai con i modi delle élite sono poco pratici della correttezza politica ultima versione, in genere si riesce ad accusarli di qualche violazione reale.

I cristiani dovrebbero pensarci due volte prima di sottomettersi a questa forma di autodisciplina. Pur riconoscendo che la raffinatezza è meglio della rozzezza e l’eloquenza è meglio della crudezza, essi devono stare dalla parte dei loro correligionari che, nel tentativo sincero di difendere la fede, finiscono sotto accusa per infrazioni involontarie della correttezza politica. Meno di questo significa rendersi complici di una forma di persecuzione che è anche una specie di guerra di classe.

Ciò in cui i cristiani dovrebbero esigere gli uni dagli altri di progredire sono le virtù propriamente cristiane di fede, speranza e carità. Se espresse in periodi di perfetta pace, queste virtù irradieranno a loro volta rispetto, compassione e sensibilità. Se invece il mondo odia la Chiesa – come ahimè ha sempre fatto – la fede, la speranza e l’amore appaiono talvolta scortesi, sfacciati o crudeli. Un fatto che non può essere motivo di gioia per chi ama la pace, ma che non può nemmeno essere negato da chiunque sia realista. 

I cristiani occidentali hanno pochi motivi per piangersi addosso dinanzi alla persecuzione educata. Sappiamo che la Chiesa sarà sempre perseguitata – che questo è quasi un marchio della Chiesa – e che il vero pericolo non è la punizione che un cristiano può subire, ma la tentazione di unirsi ai persecutori nella caccia a quei cattolici che scelgono di soffrire per Cristo.

Come ci ricorda papa Francesco, la persecuzione educata è reale. Ma nessuna delle sue minacce si avvicina lontanamente ai tormenti patiti dai nostri fratelli che muoiono come sono sempre morti i cristiani – a Roma, a Tyburn e sulle spiagge della Libia.

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