Quei cato-feticisti che trattano la carta del ’48 come mummia intoccabile

Di Giuliano Ferrara
22 Giugno 2006
Ferrara contro la chiesa meneghina «sottomessa agli imperativi della campagna ossessiva di Oscar Luigi Scalfaro»

Il giornale diocesano del cardinale Dionigi Tettamanzi ha pubblicato un articolo scritto dai laici dell’Azione Cattolica ambrosiana in cui si invita a votare “no” al prossimo referendum sulla riforma costituzionale. (.) Colpiscono la sciatteria e la mediocrità dell’articolo, la resa dell’argomentazione al propagandismo più spicciolo, al politicismo da bassa cucina partitica. Il laicato cattolico, quando vuole configurarsi come progressista, quando rimastica a favore dei nuovi potenti un desueto e insincero dossettismo minore, cioè un feticismo conservatore che tratta come una mummia intoccabile la Costituzione del 1948, dà spettacolo e offre il peggio si sé. I cattolici adulti fanno rimpiangere l’infanzia del cristianesimo. La loro compunta maturità è uno sberleffo all’intelligenza e al common sense. Parlano come partitanti senza carisma, follineggiano. (.) Dai laici-cattolici ci si aspetterebbe autonomia di giudizio, equilibrio, non una sottomissione agli imperativi retrogradi della campagna ossessiva e menzognera di un Oscar Luigi Scalfaro.
Nonché gli adulti, cattolici e no, anche i bambini sanno che il decentramento dei poteri è già ampiamente avvenuto e che la riforma lo sancisce e lo codifica salvando con equilibrio il principio dell’interesse nazionale e del riequilibrio tra regioni forti e regioni deboli del paese. Tutti sanno che un premier capace di sciogliere le Camere, nominare e revocare i ministri, non è un attentato alla democrazia, è il modello Westminster, quello che governa la più antica democrazia del mondo. Tutti sanno, compresi gli ipocriti, che la riduzione del numero dei parlamentari e la riconfigurazione del bicameralismo sono materie difficili, e che nella scorsa legislatura la maggioranza è riuscita nel capolavoro di fissare un momento certo, l’inizio della prossima legislatura, a partire dal quale questo miracolo può avverarsi. Tutti sanno che la via preferibile di intese riformatrici ampie e bipartisan è stata storicamente l’alibi per non farne nulla, per non toccare nulla, per lasciare sfumare ogni occasione di cambiamento positivo, efficace, sensato (di commissione in commissione, un’era politico-geologica perduta a chiacchierare di grandi riforme mai viste).
Non c’è un cittadino italiano che possa augurarsi la cancellazione della riforma costituzionale sottoposta a referendum il 25 di giugno con argomenti razionali, credibili, ispirati a un qualche reale interesse italiano. Il “no” ha due sole accezioni possibili: una estrema volontà di negare valore con furia partigiana a tutto quel che ha fatto il governo Berlusconi nei suoi cinque anni, e con esso il parlamento eletto nel 2001; una arcigna difesa dell’indifendibile, cioè di una architettura del sistema politico che ogni persona ragionevole, a destra e a sinistra e al centro, giudica da tempo immemorabile periclitante e paralizzante. Che il laicato cattolico milanese sposi le tesi più estreme di un propagandismo che ha radice nell’esclusivismo di parte, nelle ragioni di mera sussistenza e sopravvivenza di alcuni partiti, e che lo faccia nel segno di quel sant’uomo di Dossetti, patrono di tutti i maggiori fallimenti della politica e dell’impegno civile dei cattolici, è un segno dei tempi. Brutti tempi.

Giuliano Ferrara, il Foglio, 12 giugno 2006

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