Ho visto cento documentari sulla Ritirata. Però l’altra sera guardando “La seconda via“ di Garilli, le facce di ragazzi degli alpini, ho pensato: mio Dio, papà era uno di loro
Un fotogramma di La seconda via, film di Alessandro Garilli sulla Ritirata di Russia
Erano in sei, più un mulo. Un povero mulo con la coda coperta di ghiaccio. Anche la barba dei sei era gelata dai 30 sottozero. Che, se c’era vento, bruciavano i polmoni. Se non c’era, invece, dopo poco non li sentivi più. Una morte, in fondo, quasi dolce rispetto a quella degli altri. Dei mutilati, degli abbandonati.
Fronte russo, gennaio ’43. Le divisioni italiane mandate in Russia con gli scarponi da passeggiata sono in trappola nella sacca del Don. Il nemico è davanti, e dietro. Pochissimi varchi di scampo. Anche orientarsi è difficile: tutto è candido e uguale. Nelle isbe abbandonate si fruga nei granai, si festeggia per tre patate marce. Ci si rintana quando, sferraglianti, orrendi, arrivano i carri armati. Un massacro. Novantamila morti. E per di più, dalla parte dei vinti. Che voglia si poteva avere nel dopoguerra, di fare un film sulla Ritirata di Russia?
Alessandro Garilli, 50 anni, regista, per sedici anni ha covato il sogno di realizzare La seconda via. Ce l’ha fatta: coprod...