
QUEL MALE IRREALE CHE è L’ANTAGONISMO
Un altro protagonista è emerso nel campo del nuovo Ulivo o del nuovo partito riformista, ambedue di incerta definizione e costituzione: la Cgil. Il suo segretario, Guglielmo Epifani, ha inviato ai coordinatori dei partiti coinvolti un progetto del suo sindacato per il programma della coalizione. L’elemento più significativo delle richieste del dirigente sindacale è la domanda, all’attuale opposizione, di cancellare tutte le riforme della maggioranza: la riforma Biagi, la riforma Moratti, la riforma Castelli, la riforma delle pensioni, la riforma costituzionale. È sulla delegittimazione del governo in carica che si fonda la linea politica del sindacato di sinistra.
Bertinotti approva questa proposta che rafforza le tesi antagoniste di Rifondazione. La Cgil entra così ad un tempo direttamente in politica e direttamente nel fronte antagonista. Cosa significhi l’antagonismo al sistema sociale in sede di programma di governo, è difficile a comprendersi: è assurdo volere i risultati della rivoluzione senza aver fatto la rivoluzione. Un sindacato è per natura sua una struttura istituzionale, lo è tanto più in Italia dove la tradizione corporativa ha attribuito ai sindacati dei poteri istituzionali. L’antagonismo di principio, cioè il rigetto del sistema di mercato vigente, non si addice a chi svolge il suo ruolo appunto come componente del mercato, rappresentante in esso dei lavoratori e della loro capacità contrattuale. La linea antagonista adottata dalla Cgil pone dei problemi anche alle altre confederazioni sindacali, che sono associate alla Cgil nel privilegio di poter firmare, con il loro semplice accordo, contratti di lavoro validi obbligatoriamente per tutti. Possono le tradizioni della Cisl e della Uil associarsi a un sindacato per definizione antagonista, che si pone cioè come delegittimante del sistema sociale vigente? Ciò pone problemi anche alla nuova presidenza della Confindustria, che vorrebbe tornare alla concertazione come elemento portante della politica del lavoro.
Forse il segreto di tutto sta nel fatto che antagonismo non significa niente, è ciò che rimane della parola rivoluzione quando si è preso atto che essa è impossibile. Il male dell’antagonismo è appunto nella sua irrealtà, nel suo dire ciò che non si può fare, nel creare una frustrazione di massa che è un male per la politica e per la società, mentre nuoce alla coscienza della vita e della speranza nell’animo delle persone. Non è un caso che la Cgil sia stata, nelle sue componenti estremiste, un brodo di cultura per il terrorismo. L’azione terrorista è infatti il frutto a cui spinge un antagonismo di principio che non può realizzarsi nel fatto.
L’uscita di Epifani complica i giochi all’interno del partito riformista perché pone ai margini le posizioni per principio non antagoniste come quelle espresse dalla Margherita. Rafforzando la componente di Bertinotti nell’Ulivo, queste posizioni diminuiscono il peso della Margherita nel partito riformista e del partito riformista nell’Ulivo.
Come si può conciliare, in una medesima maggioranza, il riformismo con l’antagonismo? Negli anni Venti non si poterono conciliare massimalismo e riformismo, e da allora la rivoluzione era nell’aria, anche se in Italia fu la rivoluzione fascista. Oggi le antiche divisioni esistono ancora, sono divenuti stati d’animo e non opzioni politiche reali, ma gli stati d’animo fanno politica e possono rendere la politica della sinistra il crocevia delle contraddizioni, non una alternativa di governo.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
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