
Regno Unito. Non si può uscire (tranne che per suicidarsi in Svizzera)

Secondo Matt Hancock, ministro della Salute britannico, andare a morire all’estero è una valida ragione per lasciare il Regno Unito in piena pandemia. La Camera dei comuni ha approvato – con 516 voti a favore e 38 contrari – la mozione presentata dal governo di Boris Johnson per iniziare ieri un nuovo lockdown nazionale nel tentativo di contenere la seconda ondata di contagi e salvare dal sovraffollamento gli ospedali del servizio sanitario: fino al 2 dicembre, pertanto, nessuno potrà uscire di casa senza una scusa ragionevole, come recarsi a scuola o in università (che restano aperte) o per motivi di salute.
USCIRE PER MORIRE NON È REATO
Ebbene, secondo Hancock eutanasia e suicidio assistito giustificano l’uscita di casa e un viaggio all’estero per ottenerle. Certo, «secondo la legge attuale, basata sul Suicide Act 1961, resta un reato incoraggiare o aiutare un’altra persone a morire», ha detto ieri rivolgendosi ai parlamentari. Tuttavia anche «raggiungere un paese dove morire assistiti è consentito è legale» e chiunque decidesse di farlo durante il lockdown «non infrangerebbe la legge». Di più, ha rincarato il ministro, per il parlamento è giunto il momento di affrontare una questione diventata «centrale nel dibattito pubblico in questo paese» a causa della pandemia: «Trattandosi di una questione di coscienza, il governo non prende posizione. È invece compito di ogni parlamentare discutere e votare secondo le proprie più sincere convinzioni, e compito di quest’Aula decidere se la legge debba cambiare».
LE VITTIME DI COVID E QUELLE DI «DIGNITY IN DYNG»
La legge secondo i laburisti capitanati da Karin Smyt non è «compassionevole» né «sicura», una legge «obsoleta», come va ripetendo l’ennesima campagna di Dignity in Dying, aggravata da restrizioni per contenere la pandemia che «limitano ulteriormente le scelte di fine vita» e aumentano «l’ansia» dei malati. Il giorno successivo al terribile bollettino di guerra, una impennata di decessi da coronavirus pari a 492 morti (erano 397 il giorno prima) e 25.177 contagiati, la politica si chiede dunque se non è il caso di spianare la strada alla morte di Stato.
ANTICIPARE IL SUICIDIO IN SVIZZERA
La questione è stata sollevata come «urgente» ieri mattina dall’ex ministro conservatore Andrew Mitchell che ha portato alla camera un articolo del Times: la storia di una donna britannica malata di cancro al seno che ha dovuto anticipare il suo piano di suicidarsi alla clinica svizzera Dignitas temendo che il lockdown potesse impedire alle persone per molto tempo di lasciare il paese. La 45enne, ex dirigente medico del servizio sanitario che si occupava di salute mentale, ha anche ottenuto dal governo svizzero una «esenzione personale»: evitare di mettersi in quarantena prima dell’appuntamento finale e fatale in un appartamento della clinica vicino a Zurigo. «Temo che rimandandoli i miei piani potrebbero saltare. Molte compagnie aeree stanno posticipando o cancellando molti voli per la Svizzera».
IL “DIRITTO” ALLE CLINICHE DELLA MORTE
Poche ore dopo cinquanta medici inviavano un appello al Times sollecitando la riapertura del dibattito sul divieto di sucidio assistito (sanzionato con una pena fino a 14 anni di reclusione) nel Regno Unito. Un divieto da rimettere in discussione ora che anche la Nuova Zelanda si è allineata a Svizzera, Belgio, Canada, Colombia, Lussemburgo, Olanda, parte degli Stati Uniti e dell’Australia adottando una legge ad hoc. Nessun paradosso nel trattare l’eutanasia come una priorità sanitaria in piena emergenza coronavirus: secondo la denuncia arrivata al parlamento da Dignity in Dyng durante il lockdown precedente alcuni malati terminali sono stati infatti costretti a «concludere la propria vita in circostanze traumatiche», non potendo più raggiungere le cliniche della morte.
«MUOIO SOLA, NON PER COVID MA PER LEGGE»
«A quest’ora, la prossima settimana, sarò morta. Come molte persone uccise dal Covid-19 sono costretta a crepare in mezzo a degli estranei, in un ambiente sconosciuto, senza che mio marito, la mia famiglia o gli amici mi confortino. Nel mio caso, tuttavia, è colpa delle leggi antiquate sulla morte assistita nel Regno Unito, che mi hanno costretta a viaggiare in un paese straniero per morire da sola». La donna, malata di un cancro metastatico al quarto stadio, assicura di non avere «tendenze suicide. Io non voglio morire; desidero disperatamente vivere, ma so che non è più un’opzione. Voglio essere in grado di decidere quando è il momento giusto, sedermi al sole con una tazza di tè in un bellissimo giardino, e poi entrare e prendere farmaci che mi permetteranno di morire pacificamente tra le braccia di mio marito con il nostro cane al mio lato, dopo aver salutato la mia famiglia e i miei amici. Ma non posso. L’unica opzione che mi garantisce un minimo controllo è Dignitas in Svizzera».
SALVARE I TERMINALI. MANDANDOLI IN SVIZZERA
Quando ha ottenuto il via libera per il suicidio assistito la donna, assicura al Times, ha provato un enorme sollievo: «Ironia della sorte, questa opzione mi ha aiutato a vivere. Ho potuto godermi il tempo che mi restava libera dalla paura di una morte agonizzante e prolungata. Tuttavia, le leggi obsolete di questo paese vogliono che faccia questo viaggio finale da sola». Il divieto della Gran Bretagna «mi sta costringendo a una morte prematura e solitaria». Non sarà costretta a fare la quarantena, ma non potrà essere accompagnata; rimandare il suicidio è fuori discussione: spaventata dalla prospettiva di lockdown più stringenti che coinvolgano le cliniche chissà per quanto tempo la donna ha deciso di anticipare l’esito della sua esistenza. Una questione “centrale” per il Regno Unito falciato dal coronavirus: salvare vite, ospedali e malati terminali. Assicurando loro un biglietto di sola andata per la Svizzera, in attesa di aprire le cliniche per la morte di fianco ai reparti Covid in patria.
Foto Ansa
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