Intercettazioni ai parlamentari. La giusta decisione della Consulta sul caso Renzi

La Corte costituzionale ha confermato che la procura di Firenze non poteva leggere messaggi e email destinate al leader di Italia viva. Un precedente importante

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, in Senato (foto Ansa)

La Corte costituzionale ha dato ragione al Senato: nessun magistrato, nessuna procura della Repubblica può agire contro un parlamentare senza l’autorizzazione della sua camera di appartenenza: quindi non può aprire la sua corrispondenza o intercettare il suo cellulare. Ma non può nemmeno acquisire le chat telefoniche o le email di terzi che a quel parlamentare siano state dirette.

Questo è quanto il 22 luglio ha stabilito la Consulta (la sentenza è stata pubblicata giovedì), e cioè che la procura di Firenze non poteva «acquisire agli atti del procedimento penale […] riguardante il senatore Matteo Renzi né i messaggi di testo scambiati tramite l’applicazione WhatsApp tra il senatore Renzi e V. U. M. nei giorni 3 e 4 giugno 2018, e tra il senatore Renzi e M. C. nel periodo 12 agosto 2018-15 ottobre 2019, né i messaggi di posta elettronica intercorsa fra quest’ultimo e il senatore Renzi, nel numero di quattro missive, tra il 1° e il 10 agosto 2018».

Le proteste dei manettari e la decisone sul caso Renzi

Malgrado le proteste dei soliti manettari, la decisione è del tutto corretta: è più che evidente, del resto, che i messaggi di posta elettronica e via WhatsApp – per quanto non esistenti nel 1948, quando la Costituzione fu approvata – rientrano a pieno titolo tra le «forme di comunicazione» protette dagli articoli 15 e 68 della Costituzione stessa. E quindi, in base al principio fondamentale (ma troppo spesso violato) della divisione tra i poteri dello Stato, anche la posta elettronica e la messaggistica via cellulare sono coperte e tutelate dall’immunità e dall’insindacabilità degli atti parlamentari.

La nostra Costituzione stabilisce che un parlamentare può essere intercettato o sottoposto a un sequestro soltanto se la camera cui appartiene, a maggioranza, ne dà l’autorizzazione alla magistratura. L’articolo 68, in particolare, è chiarissimo: nessun parlamentare può essere sottoposto a perquisizione, né arrestato (tranne che in flagranza di reato), ma non può neanche essere «sottoposto a intercettazioni in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza».

Non si possono intercettare nemmeno email e WhatsApp

Quando anni fa i pubblici ministeri fiorentini hanno intercettato messaggi ed email destinate al senatore Renzi o da lui spedite a terzi, insomma, avrebbero dovuto chiedere una preventiva autorizzazione al Senato. Invece hanno deciso di non porsi il problema, facendosi forti dell’incertezza giurisprudenziale sulla materia. Nel ricorso presentato nel maggio 2022 alla Corte costituzionale, però, il Senato ha giustamente evidenziato che «che negli ultimi anni il concetto di corrispondenza ha subìto un’evoluzione tecnologica: a quella nel tradizionale formato cartaceo si sono aggiunte forme di corrispondenza di tipo elettronico, quali email, sms, messaggi WhatsApp, e altro».

La decisione sul caso Renzi è un precedente importante

Aderendo perfettamente a questa tesi, i giudici costituzionali oggi hanno stabilito che la procura di Firenze non poteva acquisire messaggi di posta elettronica e WhatsApp del parlamentare, o a lui diretti, nemmeno se conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi. «Gli organi investigativi», ha spiegato la Corte con estrema chiarezza, «sono abilitati a disporre il sequestro di contenitori di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino in essi la presenza di messaggi con un parlamentare debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi stessi».

Per questo il pronunciamento della Corte costituzionale oggi è doppiamente fondamentale: perché ricorda con forza a tutti i magistrati quali sono le regole invalicabili dei diritti parlamentari, e perché crea un precedente importante. Chiarisce insomma che la tutela della corrispondenza riguarda tutti i mezzi digitali, e questo rafforza e garantisce le sacrosante prerogative del Parlamento.

@mautortorella

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