No, l’Europa non è preoccupata per lo stato di diritto in Italia

Di Rodolfo Casadei
25 Luglio 2024
Guida alternativa alla lettura del Rapporto della Commissione Europea per evitare di farsi ingannare dall'enfasi negativa dei media mainstream (nessuna critica alle riforme)
Meloni Nordio stato di diritto
La premier Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio (foto Ansa)

Realizzato sotto gli auspici di due componenti della Commissione Europea che fino all’altro ieri facevano parte entrambi di partiti afferenti al gruppo liberale nel Parlamento Europeo – la vicepresidente ceca per i Valori e la Trasparenza Věra Jourová, il cui partito Ano 2011 ha lasciato il gruppo Alde-Renew poco dopo le elezioni del 9 giugno per passare coi Patrioti europei, e il commissario per la giustizia belga (francofono) Didier Reynders – il Rapporto sullo Stato di diritto che la Commissione Europea redige e pubblica dal 2020 è senz’altro opera di parte, frutto di rapporti di forza fra partiti e stati all’interno delle istituzioni comunitarie. Ma senza esagerare.

Europa preoccupata per lo stato di diritto in Italia? No

Chi si facesse un’idea di quello che il rapporto scrive sull’Italia basandosi soltanto sui media mainstream (Repubblica, Corriere della Sera, Ansa, ecc.) potrebbe credere che l’Europa sia molto preoccupata per le riforme in corso di realizzazione, come quella sul premierato, sulla separazione delle carriere dei giudici, sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio, su crescenti difficoltà a lottare contro la corruzione, ecc. Non è così. Critico con toni di parte su più di una questione, il rapporto abbraccia la moderazione quando dall’analisi passa alla sintesi (Abstract) e alle conclusioni, cioè alle Raccomandazioni.

Il primo paragrafo dell’Abstract recita infatti:

«È in questo momento in atto una riforma globale del sistema giudiziario e il governo ha adottato la legislazione attuativa perché abbia pieno effetto. Il governo ha presentato al Parlamento un progetto di riforma costituzionale concernente la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri e l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare incaricata dei procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati ordinari. È stato istituito il Dipartimento della Giustizia tributaria con l’obiettivo di aumentare il livello di indipendenza delle Corti di giustizia tributaria dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. La giustizia civile è ora completamente digitalizzata e la giustizia fiscale sta seguendo il suo esempio. Sono state adottate misure anche per migliorare la digitalizzazione dei tribunali penali e delle procure, mentre permangono sfide per la loro attuazione. La durata dei processi prosegue il suo trend positivo, ma resta una sfida seria. Significativi miglioramenti sono stati apportati nell’assunzione di nuovi magistrati e personale amministrativo e nel ridurre l’arretrato dei casi pendenti».

Non sembra per niente una stroncatura.

Le sei raccomandazioni al governo italiano

Lo stesso si può dire delle sei Raccomandazioni che il rapporto si premura di fare al governo italiano:

«1) Continuare gli sforzi per migliorare ulteriormente il livello di digitalizzazione dei tribunali penali e degli uffici dei pm. 2) Adottare la proposta legislativa pendente sui conflitti di interessi e adottare norme globali sul lobbismo che istituiscano un registro operativo dei lobbisti. 3) Affrontare in modo efficace e rapido la pratica di canalizzare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e introdurre il registro unico elettronico per informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali. 4) Proseguire l’iter legislativo sul progetto di riforma sulla diffamazione, la tutela del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, evitando ogni rischio di impatti negativi sulla libertà di stampa, e garantire che tenga conto delle norme europee sulla tutela della giornalisti. 5) Garantire che siano in atto regole o meccanismi per fornire finanziamenti ai media del servizio pubblico adeguati all’adempimento del loro mandato di servizio pubblico e per garantirne l’indipendenza. 6) Intensificare gli sforzi per la creazione di un’Istituzione nazionale per i diritti umani tenendo conto della Princìpi Onu di Parigi».

Mentre non si capisce bene la necessità delle creazione di un nuovo ente “per i diritti umani” in un paese che dispone già di dodici Autorità indipendenti (fra le quali l’Autorità nazionale anticorruzione, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale) che non hanno fino ad oggi dato grande prova di sé, dal contenuto letterale delle raccomandazioni si desume che titoli come quello del lancio Ansa di ieri (“Riforma del premierato sotto la lente della Commissione Ue”) sono totalmente infondati. Nelle Raccomandazioni, come si è visto, su questo non c’è proprio niente.

Le osservazioni sul premierato e le omissioni dei media

Al suo interno, il Rapporto non fa altro che descrivere i contenuti della riforma e l’impatto che avrà sui poteri del capo dello Stato, concludendo che «alcune parti in causa hanno espresso le loro preoccupazioni riguardo ai cambiamenti proposti per quanto riguarda l’attuale sistema di pesi e contrappesi istituzionali nonché dubbi sul fatto che porterebbero maggiore stabilità». I media mainstream riportano questo passaggio, ma evitano di citare quello che il Rapporto correttamente dice in una nota nella stessa pagina: «Dal 1993 l’Italia ha avuto sei primi ministri che non erano membri del parlamento».

Anche per quanto riguarda l’abolizione del reato di abuso d’ufficio il Rapporto riporta correttamente le motivazioni che hanno spinto il governo ad attuarla: «Il governo ritiene che solo una frazione di tutti i procedimenti penali per abuso d’ufficio si concluderebbe con una condanna, il che dimostrerebbe l’inefficacia di criminalizzare tale comportamento, se paragonato alle risorse amministrative e finanziarie investite per le relative attività procedurali. Inoltre, il governo sostiene che il reato ha un effetto paralizzante sulle pubbliche amministrazioni, e che altre fattispecie di reati di corruzione forniscono un quadro legislativo sufficientemente forte per contrastare gli atti che minano l’imparzialità e il corretto comportamento della pubblica amministrazione». Vengono anche qui riportati in nota i dati numerici che giustificano la posizione del governo: nell’anno alle nostre spalle «su 5.292 procedimenti giunti a conclusione per il reato, ci sono state solo 9 condanne, e nel 2022 su 4.481 procedimenti solo 18 condanne».

Nonostante questo, il Rapporto alla realtà dei fatti preferisce la virtuale correttezza formale, e commenta: «Tuttavia, la criminalizzazione dell’abuso d’ufficio e del traffico di influenze fanno parte delle convenzioni internazionali sulla corruzione e sono quindi essenziali strumenti a disposizione delle forze dell’ordine e delle procure per combattere la corruzione».

Sui giudici la Commissione non difende lo stato di diritto

La stessa capziosità la ritroviamo quando si parla della separazione delle carriere e dell’istituzione di due distinti Consigli superiori per giudici e pm, i cui componenti verrebbero scelti a sorteggio. Il Rapporto riconosce che sia l’unicità che la separazione delle carriere possono garantire l’indipendenza dei giudici, come sostiene il governo italiano, ma critica il sistema del sorteggio nei seguenti termini: «Secondo gli standard europei, non meno della metà dei membri dei Consigli di magistratura dovrebbero essere giudici scelti dai loro pari. Lo scopo perseguito attraverso la procedura di nomina a sorteggio è quello di garantire l’obiettività nella selezione dei membri giudiziari dei Consigli Superiori, ma la procedura proposta non sembra garantire che tali membri siano eletti dai loro pari e, quindi, solleva alcune questioni a questo proposito».

Qui evidentemente la Commissione europea cessa di difendere lo stato di diritto e decide di difendere interessi particolari: se il sorteggio non mette in discussione l’indipendenza dei giudici, perché bisognerebbe sostenere uno “standard europeo” che stabilirebbe che siano i giudici ad eleggere almeno la metà dei membri dei Consigli superiori? Non basta che non siano gli altri poteri dello Stato a farlo? In realtà si può argomentare il contrario: l’indipendenza del giudice è più minacciata dall’esigenza di ottenere i voti di una maggioranza di suoi pari che dalla casualità di un sorteggio.

Le domande a cui il Rapporto non risponde

Il Rapporto riporta onestamente numeri e ragionamenti che legittimano le riforme italiane che poi critica, senza mai fare considerazioni di tono analogo sui magistrati: perché i Pm italiani intentano cause per abuso d’ufficio che in grandissimo numero non sfociano in condanne? Perché l’Associazione nazionale magistrati si oppone strenuamente alla separazione delle carriere, che vige per esempio in quasi tutti i Länder della Germania?

Anche quando si preoccupa della libertà dei giornalisti e delle cause per diffamazione che considera strumentali (le qualifica “Slapp”, acronimo inglese che sta per Strategic Lawsuit Against Public Participation, letteralmente “azione legale strategica contro la partecipazione pubblica”), non entra mai nello specifico. Una denuncia per diffamazione per avere accusato un politico di “nazismo” è Slapp o è giusta difesa dell’onorabilità di chi è fatto oggetto dell’epiteto? Se l’intimidazione dei giornalisti è un gravissimo problema (che però nel 2023 in Italia è migliorato rispetto al 2022, come il Rapporto ammette), non ha a che fare con l’intimidazione dare del “nazista” agli avversari politici? A questo genere di interrogativi il Rapporto sponsorizzato dai liberali Věra Jourová e Didier Reynders non risponde.

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