
Riforma della giustizia. «Nordio non sbaglia»

Anche se alcuni quotidiani hanno cercato di contrapporre le sue parole a quelle del ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, all’incontro organizzato da Tempi a Caorle, ha pienamente sostenuto l’azione del governo: «Una riforma della giustizia in senso garantista», ha detto Mantovano, «va costruita gradualmente, questo ddl è un primo decisivo segnale per ribadire che la politica decide, fa le sue scelte senza mettersi al tavolino e attendere la dettatura da parte delle correnti della magistratura associata, pondera e sceglie senza condizionamenti. Quando si è insediata alla presidenza del Consiglio Giorgia Meloni ha detto: “Non sono ricattabile”. Questo governo non è ricattabile, a partire dalla giustizia. A leggere certi giornali sembra che abbiamo smantellato tutti presidi della legalità».
Una certa magistratura e una certa stampa
Mantovano faceva riferimento all’“allarme democratico” sempre evocato dai quotidiani nei giorni precedenti il nostro incontro, ma è stato anche facile profeta di cosa sarebbe accaduto in seguito. Bastava dare uno sguardo alle prime pagine del Fatto quotidiano e di Repubblica di ieri: “L’abuso non gli basta: Nordio taglia trojan e intercettazioni”, scriveva il giornale di Travaglio; “Taglio alle intercettazioni”, titolava quello di Molinari.
Lo scontro tra politica, da un lato, e magistratura e stampa, dall’altro (o meglio: una “certa” magistratura e una “certa” stampa), è antico, ma vanno sottolineate due importanti novità frutto di un percorso che non è iniziato ieri, ma che in questi giorni sono emerse con maggior evidenza con la presentazione della riforma.
«Nordio non sbaglia»
E le novità riguardano le nette prese di posizione di alcuni insigni giuristi e di alcuni importanti esponenti politici di sinistra.
Ad esempio, ieri sulla Stampa è apparso il commento di Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia del governo Prodi ed ex presidente della Corte costituzionale, significativamente intitolato “Da giurista vi dico che Nordio non sbaglia”. «Che il problema intercettazioni esista», ha scritto Flick, «ne sono convinto da almeno 25 anni». Secondo l’ex ministro le intercettazioni sono uno strumento «indispensabile» e tuttavia è chiaro a tutti che vi sia stato in questi ultimi decenni un «abuso» nel loro utilizzo. Spesso si è proceduto con la cosiddetta «pesca a strascico» senza ancora aver determinato di quale reato si volesse accusare qualcuno.
Reati e fenomeni sociali
Il fatto che siano in gioco diritti fondamentali (la riservatezza, la sicurezza, la libertà personale e il diritto di cronaca) non significa che non si possa fare nulla. Anzi, ha scritto Flick, un’indicazione ci viene suggerita dalla Costituzione: «Quando si comprimono – per legge e con provvedimento dell’autorità giudiziaria – i diritti e le libertà fondamentali, si devono rispettare i criteri di proporzionalità e adeguatezza. E su questo dobbiamo porci delle domande, i magistrati per primi».
Il problema, osserva acutamente l’ex presidente della Consulta, è che, in verità, le norme per limitare la pubblicazione di dialoghi riservati esisterebbero già, solo che, «nella prassi, a volte, tali limiti vengono forzati o elusi, anche al nobile fine di soddisfare esigenze di sicurezza collettiva. Ma lo strumento penale serve per punire fatti criminali avvenuti e di cui si abbia notizia, non per reprimere (o risolvere) fenomeni sociali».
Il menù meno ghiotto
Di più: poiché le innovazioni tecnologiche oggi ci consentono l’utilizzo di strumenti «molto invasivi» come il trojan, una svolta è necessaria. Non c’è alcuna «deriva», scrive Flick, smontando in poche battute la campagna di stampa contro la riforma.
E qui arriva la prima sciabolata contro i giornali:
«Resta da chiedersi se la diffusa contrarietà del mondo dell’informazione sia il legittimo campanello d’allarme per il timore di un attacco all’autonomia della giurisdizione e alla libertà di stampa, di un rafforzamento della criminalità e di impunità per la casta (timori che, almeno in questo caso, reputo infondati) o se l’informazione sia solo (pur legittimamente) preoccupata per sé: non per la minore libertà, ma per il menù meno ghiotto servito dai giornali».
La seconda sciabolata ai media arriva al termine del ragionamento:
«In tempi di magra, la fonte giudiziaria è per il giornalismo d’inchiesta, e per i rischi anche economici di chi lo pratica, un palco in prima fila a teatro o allo stadio: un minimo di cautela, molta narrazione, nessun rischio. In questo giornalismo c’era poca inchiesta. Forse si dovrà fare più fatica».
Le prove e le chiacchiere
L’autorevole presa di posizione di Flick arriva dopo quella di altri due “pezzi da novanta” del mondo giuridico italiano: Sabino Cassese e Cesare Mirabelli. Il primo, già ministro e giudice della Corte costituzionale, con un’intervista al Qn aveva definito «apprezzabile» la riforma e spiegato che essa era stata criticata dai magistrati solo perché «vogliono avere le mani libere». Cassese si spingeva addirittura più in là, sostenendo che si sarebbe dovuto fare di più, perché i passi in avanti ci sono, ma «sono piccoli».
Il secondo, presidente emerito della Consulta, in una conversazione col Messaggero, ha detto di giudicare positivamente gli interventi della riforma sia nel merito sia nel metodo. In particolare, sulle intercettazioni Mirabelli ha ricordato che «l’iniziativa legislativa distingue le prove dalle chiacchiere. Il fatto che si possa ammettere e in processo e nelle attività preordinate al processo (perché è allora che avvengono le fughe di notizie) ciò che è necessario, che cioè costituisce argomento di prova, distinguendo da ciò che invece riguarda persone estranee al processo credo sia un buon passo in avanti. Per cui non ci vedo un bavaglio. Anzi», ha chiarito, «direi che offre maggiori garanzie ai cittadini».
Giornalismo longa manus delle procure
Anche sul secondo fronte, quello politico, qualcosa di decisivo si sta muovendo. Innanzitutto a livello parlamentare, dove i gruppi di Italia viva e Azione si sono detti pronti a votare la riforma. E poi anche nel Pd dove, in contrasto con la linea Schlein, molti sindaci, a partire dal presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, hanno fatto capire di essere a favore dell’abolizione dell’abuso d’ufficio.
Le parole più nette le ha spese una vecchia conoscenza della sinistra, quel Fausto Bertinotti che al Foglio ha detto:
«Ritengo che sia un bene abrogare l’abuso d’ufficio, su questa materia andrebbero ascoltati i sindaci, a partire dai vertici dell’Anci. La sinistra avrebbe dovuto abrogarlo da tempo senza aspettare che a farlo fosse un governo di destra».
E così anche per la stretta delle intercettazioni, che l’ex leader di Rifondazione comunista definisce «sacrosanta».
«Oggi più che ieri abbiamo bisogno di un giornalismo di inchiesta in grado di intervenire su nuovi e vecchi potentati ma esso non può diventare la longa manus delle procure, non può avvalersi come strumento ordinario e prioritario delle carte e delle informazioni raccolte da pm e polizia giudiziaria. L’uso così diffusivo delle intercettazioni è la spia di una malattia. Le captazioni telefoniche sono uno strumento esterno all’attività giornalistica, uno strumento fuori dal controllo del giornalista e fuori dal controllo di tutti. Il parlato, com’è noto, è altamente manipolabile».
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