
La preghiera del mattino
Le riforme istituzionali e la lezione che va tratta dal disastro dell’operazione Macron

Su First online Stefano Ceccanti scrive: «Il proporzionale senza coalizioni preventive non è adatto all’Italia per le ragioni che già spiegava Ruffilli: i nostri partiti senza vincoli non sono in grado di dar vita ad accordi di legislatura intorno al leader indicato prima del voto dal primo partito. Lo si è visto anche nel secondo sistema dei partiti, nei due casi precedenti al 2022 dopo elezioni non decisive: col governo Letta nel 2013 e con quello Conte nel 2018. Il sistema più adatto all’Italia è quello di una forma ragionevole di premio che consenta una legittimazione diretta degli esecutivi, da proteggere poi con le norme costituzionali tedesche. Le coalizioni preventive con premio di Ruffilli e le norme tedesche devono andare insieme».
Ceccanti è un costituzionalista di qualità che ha fallito nel tentativo di riformare le nostre istituzioni quando era il grande consigliere di Matteo Renzi, soprattutto a causa dell’arroganza di quest’ultimo. Ora sta facendo un prezioso lavoro di ricostruzione dell’anima riformista del Pd. C’è bisogno della sua intelligenza e c’è bisogno di essere sicuri che abbia imparato la lezione su come gli italiani non apprezzino l’arroganza.
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Sul Post si scrive: «L’approvazione della riforma delle pensioni voluta dal presidente francese Emmanuel Macron, ottenuta in mezzo a scioperi e proteste tramite un articolo costituzionale che ha evitato il voto del parlamento, ha contribuito a creare in Francia una crisi sociale difficilmente superabile nel breve periodo. E ha aperto anche quella che secondo alcuni commentatori e politici sarebbe una “crisi della democrazia”, che potrebbe mettere fine alla Quinta Repubblica e avviare un nuovo processo costituente che porti al superamento dell’attuale modello semipresidenziale. Nelle ultime settimane, infatti, “abbasso la Quinta Repubblica” è stato uno degli slogan più usati dai milioni di manifestanti che hanno partecipato alle proteste».
Perché il modello di presidenzialismo gollista pare aver fallito la sua missione storica di rendere più governabile la Francia? Un po’ ha pesato la furbata di François Mitterrand che, per mettere in difficoltà i gollisti, reintrodusse il proporzionale alle elezioni per il parlamento con lo scopo di dare visibilità ai lepenisti che rubavano spazio alla destra repubblicana. Però l’elemento decisivo è stata l’operazione di Emmanuel Macron di tentare di liquidare definitivamente la politica, di rendere obsolete “la destra” e “la sinistra”, di garantire un avvenire millenario alla tecnocrazia. Verificato che uno Stato democratico non funziona senza una vera discussione politica, le scelte istituzionali devono partire da lì. Da parte mia, la valutazione fondamentale è che la migliore scelta in un’epoca post-ideologica, per un sistema elettorale, è quella dei collegi uninominali con primarie (in parte finanziate dallo Stato).
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Su Formiche Raffaele Bonanni scrive: «E allora se le riforme venissero impostate onestamente e animate dall’idea più elementare delle democrazie, ci si preoccuperebbe prima di tutto della partecipazione dei cittadini alla vita politica con partiti aperti, e rappresentanti del parlamento scelti direttamente dagli elettori per evitare cambi di casacca. Riformare questi aspetti certamente renderebbe più forte la Repubblica. Ci sono anche altri aspetti assai rilevanti che rendono malferme le fondamenta delle istituzioni. Soprattutto quelle dei poteri locali che andrebbero risistemate con grande vigore. Esse sono troppe e costose: Regioni, alcune grandissime ed altre piccolissime, un numero esorbitante di Comuni che andrebbero accorpati in Comuni di area vasta, Province senza senso che si vogliono resuscitare. Queste entità sono sovraccaricate di compiti e non controllate. Ma quello che è peggio è che sono rette da una filosofia di fondo che le concepisce come fossero inquadrate in un ordinamento federale, con aggravi continui dei costi e dei contenziosi tra loro, e tra loro e lo Stato».
Ecco un saggio che ci invita a mettere al centro la questione fondamentale: dare potere ai cittadini, forzando l’inerzia di un ceto politico che spesso mette i propri vantaggi davanti all’esigenza di un sistema istituzionale ben partecipato dagli elettori (come spiega anche Stefano Folli su Huffington Post Italia, riforme istituzionali e del sistema elettorale vanno fatte insieme) e adeguato a una democrazia moderna.
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Su Affaritaliani Alberto Maggi scrive: «Nessuno strappo. Nessuna forzatura. Nessuna guerra. Il cammino delle riforme istituzionali prosegue alla ricerca della massima condivisione possibile. Venerdì la ministra Elisabetta Casellati, che da mesi sta seguendo direttamente il dossier, incontrerà i sindacati, uno degli ultimi atti prima dell’arrivo del disegno di legge di riforma costituzionale in Parlamento. Ormai è praticamente certo che non ci sarà il presidenzialismo ma il governo e la premier Giorgia Meloni hanno scelto la strada del premierato, ovvero della scelta diretta degli elettori del presidente del Consiglio».
Ma come? Quella terribile autoritaria di Giorgia Meloni starebbe cercando di riformare le istituzioni con il più ampio schieramento possibile? Ecco una squallida manovra per ingannare i cittadini delle zone a traffico limitato, cioè il cuore della democrazia italiana! Si mobiliti subito Roberto Saviano!
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