
La ripresina del governo Renzi

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Non è certo in economia che il governo Renzi, a due anni dal suo insediamento, può essere bocciato. Il contesto internazionale lo ha sicuramente favorito con condizioni assai favorevoli che difficilmente si presentano così coordinate: costo del petrolio stabilmente intorno ai trenta euro al barile, con frequenti puntate al di sotto; costo del denaro ai minimi con conseguenti limitati oneri per pagare il sempre alto debito pubblico; interventi della Banca centrale europea con costanti iniezioni di risorse finanziarie a sostegno delle economie dei paesi comunitari. Queste e altre condizioni concorrono a facilitare l’azione delle nostre imprese che, infatti, dopo aver ripreso dal 2011 a operare con buoni risultati sui mercati internazionali, dallo scorso anno segnalano una ripartenza anche dei consumi interni. Un’indiretta conferma di questo miglioramento complessivo dell’attività delle nostre imprese la si ricava anche dall’aumento delle importazioni dalla Germania che, se non ha alcuna influenza sul Pil nazionale, testimonia la buona salute delle nostre aziende che notoriamente usano, soprattutto in certi settori produttivi, materie prime e semilavorati tedeschi nell’ambito del proprio processo industriale.
C’è dunque della fortuna e un poco di casualità, ma non si può negare che i principali provvedimenti presi in campo economico negli ultimi due anni vadano nella giusta direzione, quella di favorire l’azione delle nostre imprese sostenendone la capacità imprenditoriale. Chi scrive è da sempre convinto che la migliore politica industriale per il nostro paese stia nel limitare l’intervento dirigista, che tanti danni ha prodotto nel corso dei decenni scorsi, e nell’accompagnamento concreto e fattivo a fianco e a sostegno dell’azione puntuale di tanta imprenditoria nostrana. Da questo punto di vista come non sottolineare il lavoro proficuo, perché costante e meticoloso, di Carlo Calenda, sottosegretario allo Sviluppo economico, che per il vasto comparto del “made in Italy” ha rappresentato in questi anni un sicuro punto di riferimento: speriamo che tale lavoro, preziosissimo, prosegua nella nuova veste di rappresentante italiano presso l’Unione Europea, anche indirizzando l’azione di chi lo sostituirà a Roma. Il Jobs Act, l’ammortamento del 140 per cento degli investimenti tecnologici fatti dalle imprese a partire dall’ottobre scorso e per tutto il 2016, l’ulteriore rifinanziamento degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edili e per gli interventi che favoriscano il risparmio energetico, sono provvedimenti che insieme ad altri vanno nella stessa direzione: stimolare le imprese a raccogliere la sfida del cambiamento in un contesto mai come ora, rispetto all’ultima decade, così favorevole. E qualche risultato sembra vedersi se aumentano i contratti di lavoro a tempo indeterminato e diminuisce, in maniera in verità un po’ altalenante, il tasso di disoccupazione. Anche il tasso di fiducia di imprese e consumatori, mai stati così alti da quando è iniziata la Grande Crisi, testimoniano che si è innescata un’inversione di tendenza. Di più difficile lettura è la ripresa della capacità di risparmio delle famiglie italiane confermata dagli indici di raccolta delle società del risparmio gestito. Se infatti da una parte ciò sembrerebbe dover segnalare un miglioramento delle generali condizioni di vita, dall’altra potrebbe significare, oltre che atavica e saggia consuetudine delle nostre famiglie, il permanere di timori per il futuro.
Un occhio alle partite Iva
Un altro provvedimento lungamente atteso e di grande valenza simbolica è quello riguardante il lavoro autonomo. Finalmente si è preso atto a livello governativo di un fenomeno che nella società è presente in maniera consistente da almeno due decenni: alle difficoltà occupazionali che a fasi alterne interessano da molti anni la nostra economia le persone hanno risposto con l’autoimprenditorialità, mettendosi in proprio, aprendo una partita Iva. Non è certo oro tutto ciò che luccica e Zalone ci insegna che il posto fisso è ancora in cima ai desideri di molti, ma intanto, volente o nolente, è cresciuto, e mese dopo mese continua a crescere, un popolo di partite Iva finora salassato da ingenti prelievi fiscali e oneri previdenziali ma senza alcun serio inquadramento normativo. Quello proposto dal governo andrà sicuramente discusso e nel tempo integrato ma è il primo tentativo e come tale va valorizzato: dopo lo statuto dei lavoratori (1970) e quello delle imprese (2011) finalmente arriva quello del lavoro autonomo.
Infine, c’è il capitolo dei provvedimenti a favore delle persone: ottanta euro in busta paga, bonus per i diciottenni, intervento contro la povertà di 320 euro mensili, la diminuzione del canone televisivo e lo spostamento del pagamento in bolletta. In questo caso il sapore elettoralistico di certe decisioni, soprattutto di quelle una tantum, si avverte ma è difficile negare che si tratta di risorse comunque utili per chi le riceve e in grado di rientrare immediatamente in circolo rivitalizzando i consumi interni. Sperando che i criteri di allocazione di questi soldi siano a prova di furbetti, si può forse evidenziare che tra i promotori di queste misure molti erano critici di analoghe scelte del governo Berlusconi, ma chiedere a un politico un minimo di coerenza è spesso chiedere troppo. No, non è in economia che questo governo merita l’insufficienza perché, anche se ha promesso molto più di quanto ha finora realizzato – e la riforma fiscale? – e sta godendo di condizioni internazionali eccezionali, quello che è stato fatto è positivo e come tale va riconosciuto.
Foto Ansa
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Bravo Renzi