
Roger Scruton
«Il conservatorismo inglese ha le sue radici nel retaggio dei ceti alti, nel pacato buonsenso della vecchia costituzione e nelle abitudini senza pretese della gente comune». Si apre così, come un inno autobiografico all'”Inghilterra che non c’è più”, il Manifesto dei conservatori (Raffaello Cortina) di Roger Scruton, filosofo e polemista inglese di genio che insegna a Princeton e all’Istituto di scienze psicologiche di Arlington. Come spiega Giuliano Ferrara nell’introduzione al volume, il problema dei conservatori è «fissare il limite della modernità dal di dentro della modernità». Scruton è maestro in questo, issa la bandiera del common sense cristiano anglosassone all’interno del pensiero postilluministico e razionale. Scruton non vede differenze sostanziali fra il cuore dell’antico conservatorismo e quello del nuovo, nonostante il pessimo servizio che i suoi sostenitori abbiano fatto al suo nome. «All’opera c’è la stessa significanza sociale, politica e spirituale che desideriamo conservare e il pieno riconoscimento che è più facile distruggere che creare», dice a Tempi. «Il contratto formulato da Edmund Burke è realmente una sorta di amministrazione fiduciaria: noi vivi abbiamo qualcosa di inestimabile che siamo chiamati a conservare per il beneficio di coloro che verranno. Questo pensiero è importante tanto più nell’era postmoderna, dal momento che abbiamo scoperto che l’idea di “progresso” è un mito pericoloso. Il postmodernismo risulta essere l’ultima impresa della “cultura del rifiuto” balzata alla ribalta della storia nel 1968. Come Burke sottoindendeva, solo chi ascolta la voce di chi non c’è più è in grado di proteggere chi non è ancora venuto al mondo. In questo senso la cultura è depositaria di un’esperienza che è al tempo stesso in un luogo e ovunque, presente e senza tempo, l’esperienza di una comunità santificata dal tempo. Ora gli europei invece vivono come se i vivi, i morti e i non-nati non avessero una voce».
Nel suo libro Scruton analizza il legame fra linguaggio e verità, vincolo perso nel tempo e distrutto dalla cultura del nulla. «Un nuovo linguaggio è sorto da quando abbiamo sostituito un pensiero vivo e fecondo con un linguaggio meccanico, abbandonando l’orizzonte del linguaggio religioso. Quando l’uomo perde il senso della pietas, le parole perdono il loro contatto con le cose, la realtà. Per pietà intendo la disponibilità a riconoscere il nostro stato di debolezza, ad affrontare il mondo circostante con reverenza e umiltà. Tale sentimento è un residuo della religione in tutti noi, che si voglia ammetterlo o no. È qualcosa di cui un numero elevato di persone sta cercando di riappropriarsi in un mondo dove i risultati dell’arroganza umana sono tristemente evidenti».
La negazione dell’umanità
Quello di Scruton è un sentimento difficile da giustificare nei termini del freddo e duro ragionamento utilitaristico che piace a Peter Singer, il filosofo australiano che è arrivato a teorizzare l’equiparazione tra i diritti degli uomini e quelli degli animali. «L’utilitarismo trascura l’elemento distintivo della nostra condizione, la nostra radicata propensione a considerarci esseri morali, legati da relazioni di responsabilità ad altri della nostra specie. Al posto del mondo naturale fatto a immagine dell’umanità, troviamo un’umanità ridescritta come parte del mondo naturale».
Un capitolo del Manifesto dei conservatori è dedicato alla natura del totalitarismo, descritto da Roger Scruton come un fenomeno sovrastorico, addirittura teoclastico. «Il totalitarismo è il tentativo di organizzare la società umana senza il rispetto per la libertà dei suoi membri e i bisogni umani. Si rifiuta di vedere la società come qualcosa che ricerchiamo, e riesce a leggervi solo il prodotto artificiale dell’umana libertà, sulla base di convenzioni e consensi. Lo Stato postmoderno riscrive infatti tutti i vincoli come fossero contratti tra i vivi. La lezione che dovremmo trarre dai movimenti totalitari del Novecento è quella che ci insegna che il totalitarismo non è la forma naturale di un modo di vedere patologico, ma il contrario: la forma patologica di uno naturale». Come rileva Hannah Arendt, i lager nazisti non erano progettati semplicemente al fine di distruggere gli esseri umani, ma anche di privarli della loro dignità: «I prigionieri dovevano essere trattati come oggetti, umiliati, degradati, ridotti in uno stato di necessità pura, divorante, senza possibilità di soddisfazione, che avrebbe cancellato gli ultimi brandelli di libertà. Avevano lo stesso che perseguono Iago nell’Otello di Shakespeare in un modo e Mefistofele nel Faust di Goethe in un altro: derubare i detenuti della loro anima. Se scrutiamo nell’animo di Iago troviamo un vuoto, un nulla; come Mefistofele, è una grande negazione, un animo fatto di antispirito, proprio come un corpo può essere costituito da antimateria. I campi erano dominati dall’antispirito e chi vi era prigioniero si aggirava barcollando, gravato dal grande segno della negazione. A chi era permesso osservarli, questi antiumani apparivano repellenti, coperti di parassiti, moralmente offensivi e, di conseguenza, il loro sterminio poteva essere presentato come una necessità. La loro scomparsa in un oblio comune divenne l’equivalente spirituale della materia che viene inghiottita da un buco nero».
George Orwell parlava del totalitarismo come di un tradimento teologico. Dice Scruton che «se nell’impero sovietico è stato opera di forza, nel mondo occidentale è stato invece generato dal consenso. Nel primo caso la causa era il desiderio di distruggere Dio; nel secondo l’incapacità di percepirlo». Per questo gli piace ricordare che all’orrore del sistema sovietico Aleksandr Solzenicyn rispose con una preghiera: «Non sia attraverso me che il male entri nel mondo».
Come nascono i bambini
L’idiota di Dostoevskij dice che la bellezza salverà il mondo, aforisma ormai neutralizzato dall’abuso kitsch. Ma per Scruton contiene sempre una verità: «L’esperienza della bellezza è la riflessione e la comprensione che il nostro essere qui e ora non si esaurisce nel presente. Contiene un cuore di eternità che sale in superficie quando ci innamoriamo, nascono i figli e ci promettiamo fedeltà nel matrimonio. Le nozze sono infatti un rito di passaggio, durante il quale una coppia va da una condizione sociale a un’altra, e la cerimonia non coinvolge solo gli sposi bensì l’intera comunità a quale appartengono. E questo è il modo con il quale i figli sono “generati”. Oggi è diffusa invece una cultura di dissacrazione, nella quale i rapporti sono svuotati delle antiche virtù religiose (innocenza, sacrificio, promesse eterne) e in cui poco o nessun riconoscimento è concesso alle idee di sacro, di santo e di proibito». In proposito, però, l’autore del Manifesto dei conservatori è contrario all’uso della parola valori: «I valori sono una questione di pratica non di teoria. Non sono insegnati quanto impartiti, dispensati. Li si apprende attraverso un’immersione, entrando in contatto con i propri simili, plasmando un “io” a partire da un “noi” collettivo».
La Chiesa cattolica è impegnata in una drammatica battaglia nella difesa della generazione umana. Una battaglia che per Scruton «è degna di essere combattuta: tutte le altri visioni della riproduzione umana negano la dignità dell’uomo. La forma umana è vulnerabile alla profanazione e al sacrilegio. Alcuni momenti della vita (nascita, morte, procreazione) traducono il carattere sacro della vita in una percezione immediata e realistica. La riproduzione umana è un processo di milioni di anni di adattamento, perciò fino a ieri era vista come qualcosa di troppo sacro per metterci sopra le mani, come un dono degli dei. Oggi invece stiamo cercando di accelerare il processo dell’evoluzione per soddisfare i nostri desideri. Ma chi conosce le conseguenze? La “soluzione finale” al problema dell’uomo è già stata posta seriamente. L’uomo sembra ridondante. L’umiltà che un tempo circondava la creazione è stata data via per il cinico sfruttamento della vita. Riferirsi alle vecchie idee del destino, del sacro e dell’intoccabile non produce alcuna emozione nelle persone che credono che la biologia contenga l’intera verità della condizione umana. Il corpo non è più il ricettacolo nel quale si congiungono l’empirico e il trascendente, la nicchia dell’io nel contesto della natura. È diventato un bersaglio da aggredire, devastare e consumare, da vedere in tutti i suoi contorcimenti come un verme che si attorciglia miseramente in agonia. Noi, però, siamo motivati non solo da appetiti, ma anche da una concezione del bene. Non siamo solo oggetti in un mondo di oggetti, ma anche soggetti, creature sospese fra l’empirico e il trascendente. Abbassando gli occhi sulle nostre funzioni organiche, perdiamo di vista la vita morale. Questa non è scienza ma scientismo, che sta alla scienza come la pornografia sta all’amore».
Roger Scruton è spesso accusato di pessimismo. «Tutti i conservatori sono tentati dal pessimismo, perché rifiutano ciò che Schopenhauer chiamava l'”ottimismo senza scrupoli” delle facili soluzioni. Il pessimismo è però diverso dalla filosofia della negazione, che è sempre una forma di suicidio morale. Perché non essere felici di fronte al vino, all’amicizia e al volto imprescrutabile di Dio?». Quale verità è necessario preservare? «Quella secondo cui senza sacrificio, niente ha valore».
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