Salafiti, più islamisti di Maometto

Di Rodolfo Casadei
18 Aprile 2011
Maltrattati per decenni da Mubarak, ostili a tutti i correligionari, violenti con i cristiani. Proveranno a sfruttare la fine del regime per imporre la “vera” sharia. Ecco chi sono e cosa pensano i salafiti, i cugini intransigenti dei Fratelli Musulmani

(Il Cairo) – Abu Bakr sembra davvero l’uomo più innocuo del mondo. Con quegli occhiali spessi come vetri antiproiettile, gli occhi semichiusi alla mister Magoo e penosamente asimmetrici, le palpebre percorse da segni che gli infliggono decisamente di più dei suoi 59 anni, si fa fatica a vedere in lui una minaccia per il vecchio regime egiziano. Eppure è stato trascinato in cella ben trentanove volte (sissignore, trentanove) nel corso della sua accidentata vita. «Tutti i miei amici possono dirle che sono una persona molto gentile. Non ho mai compiuto un delitto in vita mia», protesta allungando il collo. Avesse i boccoli oltre al barbone crespo dal colore sospetto, e in testa un cappello nero a larghe tese invece di una takiyah islamica, sarebbe il ritratto perfetto del rabbino per un fumetto antisemita.

Invece Abu Bakr è, sin da giovane, un salafita, seguace della corrente dell’islam che propone ai musulmani di vivere e credere come vivevano e credevano il Profeta e i suoi compagni. Gente intransigente e per niente assetata di popolarità, capace di mettersi contro tutti: gli altri islamici, da quelli più laici fino ai Fratelli Musulmani, indignati di essere criticati dai salafiti come eretici o addirittura miscredenti; gli oppositori del regime, orripilati dal loro quietismo politico, che in nome della purezza della loro “scelta religiosa” e della dottrina tradizionale che impone ai musulmani di sottomettersi ai detentori del potere politico anche se pessimi, li ha portati ad astenersi sempre dal partecipare a manifestazioni di protesta; ma anche lo stesso regime militare, che ha sempre considerato una sfida inaccettabile il rifiuto dei salafiti di sottomettersi ad al Azhar, di riconoscere nei presidenti Sadat e Mubarak dei buoni musulmani e di approvare come islamicamente corrette le loro politiche.

«Mi rifiutavo di pregare per il presidente e di considerare islamiche le politiche del governo militare. Per questo mi hanno arrestato tante volte. Senza mai farmi un solo processo: in tutto cinque anni di cella senza mai un processo!». Quando ad Alessandria il 31 dicembre scorso un attentato ha seminato orrore e morte nella chiesa copta dei Santi, la risposta del regime è stata una retata di salafiti, uno dei quali è morto a causa delle torture inflittegli. Eppure, quando sono cominciate le proteste di piazza Tahrir, gli sceicchi salafiti sono stati inequivocabili: tutti a casa, hanno detto ai giovani, il governo si contesta praticando la retta religione e non facendo politica. Solo uno di essi, Mohamed Hassaan, si è tardivamente unito ai moti». Si sono presi dei venduti e dei lacchè. E la situazione si è fatta ancora più tesa dopo le dimissioni di Mubarak: improvvisamente gli incidenti che vedevano salafiti o presunti tali assalire chiese e cristiani, distruggere antiche tombe sufi, minacciare le donne senza velo, attaccare rivendite di alcolici, polemizzare coi Fratelli Musulmani, si sono moltiplicati esponenzialmente. Da allora i salafiti sono accusati di essere gli strumenti di un complotto controrivoluzionario.

Le tibie di Abu Bakr sono gibbose. Grossi bozzi spuntano in varie posizioni. «La cosa peggiore non sono stati i 39 arresti, ma i 54 interrogatori», sospira con voce più rauca tenendo rialzati i calzoni. «Pugni in testa e in faccia, sigarette spente sulle braccia, calci contro le gambe: me le hanno fratturate tre volte. E le bastonate sulla schiena!», esclama accennando il gesto di sollevare giacca e camicia. L’aria della spia o del provocatore non ce l’ha proprio. Era un avvocato e oggi è ridotto a fare il lavoratore a giornata. Il figlio, laureato in ingegneria informatica, non è stato ammesso all’insegnamento universitario a causa dei precedenti del padre. Eppure non c’è dubbio che il vecchio regime ha usato i salafiti. Per creare attriti intraislamici coi Fratelli Musulmani, per spaventare la Chiesa copta e così rafforzare la sua lealtà al regime. Dopo anni di ostracismo e maltrattamenti, nel 2006 ha concesso ai fondamentalisti di creare due canali televisivi, poi un terzo: el-Nass, el-Rahma e al-Umma; gli sceicchi più polemici non li lasciava parlare, ma altri sì; poi le ha chiuse; poi le ha riaperte e ha concesso microfono libero quando i salafiti hanno formulato la loro presa di distanza dalle manifestazioni in piazza Tahrir.

Le moschee dei sufi sotto assedio
«I nostri nemici giurati sono i sufi. Ma noi li rispettiamo, sia come persone che come religiosi». Parola di Abu Bakr. Peccato che le cose siano un po’ più complicate di così. La settimana scorsa in una cittadina del delta del Nilo due salafiti sono stati arrestati dopo scontri con la popolazione locale. Insieme ad altri erano riusciti a distruggere cinque tombe di santi sufi venerati dalla gente del posto, ma da loro considerate ricettacolo di superstizione ed eresia. Poco lontano da lì i pompieri hanno salvato per un pelo la locale moschea, che stava per essere investita dall’incendio che ha incenerito un altro mausoleo sufi. All’inizio di aprile il Consiglio supremo degli ordini sufi ha inoltrato ai militari un dossier su 20 attacchi a luoghi santi da loro attribuiti ai salafiti e ha preso l’insolita decisione di organizzare marce di protesta, ad Alessandria come al Cairo, in occasione del moulid, la grande festa per la nascita di Hussein, nipote di Maometto. Sufi provenienti da tutto il paese hanno giurato di difendere, se necessario anche con il sangue, la reliquia di Hussein conservata nell’omonima, famosissima moschea della capitale. L’università del Cairo ha cancellato un simposio a cui doveva partecipare Mohamed Hassaan, lo sceicco salafita più famoso, per paura di scontri coi sufi e coi Fratelli Musulmani.

«El Baradei? Peggio del Faraone»
«La differenza fra noi e i Fratelli Musulmani è che loro mettono la politica davanti alla religione, noi mettiamo la religione davanti alla politica», declama Abu Bakr. Sarà anche vero, ma quando vogliono i salafiti fanno capire molto bene come la pensano sulle questioni politiche. Quando un anno fa El Baradei iniziò la sua campagna mirata a concorrere alle elezioni presidenziali, gli attacchi più pesanti non gli arrivarono dalle file del regime, ma da quelli dei salafiti: ad Alessandria lo sceicco Abdel Azim definì l’ex presidente dell’Aiea e premio Nobel per la pace «un passo dal male al peggio, dal corrotto al maggiormente corrotto». I suoi sostenitori furono picchiati dai salafiti a Fayoum.

Quando il 19 marzo El Baradei s’è recato al seggio per votare “no” al referendum costituzionale, ha trovato un gruppo di salafiti, fautori sfegatati del “sì”, che l’hanno preso a sassate. Per loro quell’uomo rappresenta tutto ciò che di male il cambiamento politico può comportare: la messa in discussione dell’identità islamica dell’Egitto, addirittura la sua “cristianizzazione” (è stato fantasiosamente accusato di aver lasciato sposare sua figlia a un cristiano), ma soprattutto l’avvento della democrazia. La quale, come ha spiegato lo sceicco Abdel Azim, «non è un insieme di procedure politiche, ma un’ideologia» in base alla quale non è la legge divina che governa, ma la volontà della maggioranza. «E come potremmo accettare di concedere diritti agli omosessuali e agli infedeli?». Yasser Bohrami, un altro sceicco salafita molto noto (anche per aver emesso una fatwa contraria alla partecipazione alle manifestazioni in piazza Tahrir), accusa i media di diffondere un’immagine falsa dei salafiti, spiega che la superstizione del culto delle tombe viene da loro combattuta solo con la predicazione e il buon esempio, e alla fine annuncia: parteciperemo alla vita politica, finora siamo stati ai margini a causa della dittatura, ma ora sceglieremo le correnti islamiste più vicine ai nostri ideali.

«Odiamo veramente tanto gli ebrei»
«I salafiti sono entrati già nella vita politica», ci spiega il giudice Hossam Mikawy, presidente della Corte d’assise di Cairo sud. «Ma mentre i Fratelli Musulmani rifluiranno tutti in un unico partito, i salafiti hanno già creato sette formazioni diverse. Con loro non si può mai essere sicuri di niente: nella stessa giornata smentiscono di essere responsabili di un attacco ma poi ufficiosamente lo rivendicano. È un fatto che prima del 25 gennaio le distruzioni di tombe sufi erano rarissime, ora sono quasi quotidiane. La verità è che i salafiti vogliono far vedere che adesso, senza più il regime repressivo e miscredente di Mubarak e in una fase di grande difficoltà per al Azhar a far valere la sua autorevolezza teologica, si può finalmente imporre il rispetto delle autentiche norme islamiche».

«Al Azhar non esiste più dal 1958!», ridacchia sarcastico Abu Bakr. «Da allora è un’istituzione politica dipendente dall’esecutivo. Nasser si impadronì di al Azhar e decise che da allora in avanti lo sceicco dell’università l’avrebbe nominato il presidente egiziano. Sadat e Hosni Mubarak hanno completamente cancellato l’autorità di al Azhar». La maggioranza degli egiziani, benché non salafiti, la pensa più o meno come Abu Bakr. Il successore dello sceicco Tantawi e attuale capo dell’università e della moschea, Ahmed al Tayeb, sta cercando di rifarsi una verginità denunciando le bustarelle richiestegli dalle forze di sicurezza e i dipendenti corrotti, ma la sua autorità e quella dell’istituzione che rappresenta sono state definitivamente inficiate dalla linea lealista adottata nei giorni delle proteste in piazza Tahrir.

L’unico dirigente importante della moschea-università che ha partecipato alle manifestazioni si è dovuto prima dimettere per poterlo fare. Al Tayeb non s’è comportato peggio della maggior parte dei salafiti, ma stante la sua posizione ha perso molto di più in credibilità. Al punto che la recente crisi innescata dalla distruzione della chiesa copta di Atfeeh, rasa al suolo da un gruppo di facinorosi salafiti sulla scia di delitti d’onore a sfondo confessionale, ha visto le autorità egiziane – dopo la strage del quartiere di Moqattam al Cairo – valersi della collaborazione del predicatore salafita Mohamed Hassaan per riportare l’ordine. Hassaan è andato sul posto e ha convinto i musulmani locali a lasciar ricostruire la chiesa, con grande umiliazione di al Azhar che non c’era riuscita.

Abu Bakr solleva il labbro superiore come una coperta vecchia e scopre la mascella quasi spoglia di denti, poi commenta: «Me ne hanno fatte di ogni tipo, ma io non ho mai fatto il nome di nessuno. Voi giornalisti occidentali ci chiedete sempre del jihad, ma il jihad più grande è quello che l’uomo fa contro se stesso, per purificare il proprio cuore e la propria anima. La violenza fine a se stessa non è jihad.Ma se proprio lo volete sapere, oggi la guerra santa è quella che si combatte in Palestina e in Iraq, e se avessi l’età giusta e me lo chiedessero, partirei senz’altro volontario! Comunque spero che continuino a combattere e vincano anche senza di me. Perché noi salafiti odiamo veramente tanto gli ebrei».

Di tutte le accuse rivolte a Mohamed El Baradei, quella di essere un ebreo è l’unica che ancora manca, ma più volte è stato etichettato come una “marionetta dei sionisti”. Basta e avanza a rendere realistico lo scenario in cui un estremista salafita attenta alla vita dell’ex presidente dell’Aiea. Sarebbe una mossa perfetta per la strategia controrivoluzionaria.

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