Salvatemi dal mio fango

Di Pietro Mambelli
25 Maggio 2023
Una giornata a prestare soccorso tra gli alluvionati dell'Emilia-Romagna. A spalare con insolita allegria e qualche domanda importante. Tipo: servirà il tira acqua?
Alluvione in Emilia-Romagna, Faenza, 19 maggio, 2023 (Ansa)
Alluvione in Emilia-Romagna, Faenza, 19 maggio, 2023 (Ansa)

Sabato ho trascorso una mattina in quei magici non luoghi che sono i megastore del fai da te: OBI, Tecnomat, BricoIO, BricoTU, BricoTUTTI, alla ricerca del bene prezioso del giorno, un paio di stivali. Mesto, a fine mattinata, me ne sono fatti allungare un paio da amici, ma in uno di questi negozi di cinesi ho trovato 3 “tira acqua”, di cui ignoravo l’esistenza prima di martedì.

Li ho presi, 6 euro, mi sono sentito furbo e fortunato. La mattina successiva, domenica, alle 08.00, propriamente vestito e sempre furbo e fortunato insieme ad un gruppo di amici, abbiamo imboccato l’autostrada in direzione Forlì, città natale da cui sono irreperibile da qualche anno, con uno strano boost nel cuore, ma era troppo presto per chiedersi cosa fosse: la nottata era stata agitata, mio figlio duenne irrequieto, le coperte troppo pesanti, i pensieri molto mossi.

Con gli amici in macchina non ci siamo detti il perché della nostra partenza. Andavamo e basta, che c’è da giustificarsi?, da qualche parte hanno bisogno, e noi miracolosamente vogliamo/possiamo andare, poche seghe stavolta, godiamocela.

Pulire l’impulibile

Una folla immensa, davanti alla parrocchia di Coriano a Forlì, accelera il mio battito: c’è silenzio, disponibilità, sorrisi, abbracci, qualche pianto. Amicizia? È questa? Un popolo che pulsa all’unisono e si dirama in ordine verso dove c’è bisogno. Eccoci, manda noi!

Tutto così naturale e così vero da essere originale, nuovo, rispetto ad una realtà ultimamente un po’ forzata e plasticosa.

Ci siamo accodati a Francesco, che ci ha traghettato in via Drisco, quartiere San Benedetto di Forlì, in cui non ero mai passato in 18 anni da cittadino non contribuente.

L’immagine è quella dei Tg: fango, acqua sporca, mobili per strada, acqua sporca, fango, gente che si adopera freneticamente per pulire l’impulibile.

Il volto di chi ha perso tutto

Arrivati alla prima casa, infilo i guanti e sguaino il luminoso tira acqua dei cinesi, lo brandisco in aria e lo infilzo nei 50 centimetri di fango per iniziare la giornata di lavoro. Si spezza in due appena lo sollevo.

Faccio finta di nulla, discretamente lo appoggio al muro e prendo un più pratico vecchio scopone nostrano, con la coda tra le gambe. Insieme ad un altro ragazzo comincio a spingere e spingere fango, con l’obiettivo di creare una montagna, destinata ad essere poi spostata, una volta secca, da una ruspa, forse.

Dopo un’ora, in cui mi è sembrato solo di spalmare fango anziché spostarlo, sono stanco morto. Sono fuori forma o questa fatica è insostenibile? La prima, fortunatamente, perché ciò che sostiene questa fatica, fino a sera e nei giorni che verranno, non sono muscoli o allenamento ma il volto di chi ha perso tanto o tutto. C’è chi è arrabbiato, chi è un po’ brusco e demoralizzato, ma c’è anche chi brilla in un sorriso disumano, anzi superumano.

Il gol di Milik era regolare

Luigi e Cristina, proprietari di una villetta nella via sommersa mercoledì da quasi due metri d’acqua, ci accolgono nel loro disastro in un clima tenero e frizzante: non c’è disperazione. A casa mia ci sarebbe.

Ci sono invece due morosi da Ravenna, un signore di Salerno, che lavora a Pesaro ma vive a Modena, due amici di famiglia da Bologna, il nostro gruppo poco prestante da Rimini, i figli che annaffiano il fango per renderlo più morbido. Badilate, “svuota la carriola Verstappen!”, qua poi bisognerà arare, razzismo territoriale, “la casina di legno è già pulita?”, secchi su secchi, “il gol di Milik era regolare, Candreva teneva tutti in gioco”, e poi il racconto di quel giorno, in cui Luigi è uscito di casa con l’acqua a trenta centimetri ed è rientrato a nuoto, la fatica, sì enorme, ma che si può affrontare, guidati dall’ “illogica allegria” dei padroni di casa, che spariglia i pregiudizi e accende una paradossale invidia.

Io voglio il motorino

Ci siamo organizzati e abbiamo dato una bella pulita, quello che potevamo fare. In pausa pranzo abbiamo mangiato una piadina spessa – finalmente – portata dalla Protezione civile, forse la migliore mai assaggiata: sarà lo strutto, il lievito, l’umidità o forse la circostanza che l’ha resa speciale.

Luigi ci offre due bottiglie di vino, eccitato dal fatto che ne avessimo voglia: durante l’alluvione ha salvato dalla cantina solo due mountain bike e 20 bottiglie di vino, l’essenziale per sopravvivere.

In queste poche ore, mi sono sentito profondamente fratello di chi ho incontrato, anche dei volti senza nome: il fango, crudele, viscido ed egoista, ha preso molto, ma ha lasciato la testimonianza che anche senza nulla si può vivere… te la sei fatta scappare, maledetto.

Il figlio tredicenne di Luigi e Cristina, che si aggirava saltellando nel giardino, mi ha intenerito e incuriosito. Gli ho chiesto cosa avrebbe fatto ora. Mi ha risposto, orgoglioso: «Devo prendere il patentino del motorino». Tutto qui. Fango o non fango il desiderio di cose grandi (e cinquantini truccati) rimane.

Vivere col cuore aperto

C’era un bel sole pieno che si rifletteva sulle pozzanghere, i primi passi della mia estate sono accaduti lì, a San Benedetto di Forlì.

L’idea di come devono andare le cose, delle urgenze e delle precedenze, di quanto darsi e quanto risparmiarsi, forse sono il fango che mi trattiene immobile nella quotidianità.

Torniamo a Rimini indolenziti, chiacchierando allegri, con la certezza di esserci spesi, anche se poco, per trovare ciò che ognuno cerca. E con il desiderio, tutti testimoni, di voler vivere con il cuore aperto, come cantava Dalla («Non ti sento, non ti sento, da troppo tempo non ti sento…»).

A casa mi aspetta mia moglie, a cui racconto come è andata: è come se lo avesse vissuto anche lei, lo capisce, vive lo stesso desiderio, le stesse domande. Mio figlio (quasi) tutto pulito ci guarda curioso. Si chiederà cosa ci è successo, perché siamo stanchi, ma diversamente da altri giorni, felici. O perché non discutiamo, non ci preoccupiamo di organizzare la settimana come ogni domenica.

Forse si chiede dov’è finito il mio tira acqua.

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