Sanchez va al governo con una maggioranza traballante

Il leader socialista mette insieme una coalizione eterogenea promettendo l'amnistia agli indipendentisti catalani. Quanto durerà? Isabel Diaz Ayuso si prepara. Corrispondenza

Pedro Sanchez festeggia l’investitura a premier in Spagna, 16 novembre 2023 (Ansa)

Spagna. Non hanno toni teneri i centomila manifestanti riuniti a Puerta del Sol, la principale piazza di Madrid, dove ha sede la Comunità autonoma guidata dalla governatrice Isabel Díaz Ayuso, la donna forte della destra spagnola che a 44 anni ha saputo costruire un governo solido nella capitale senza dover fare i conti con scomodi alleati, puntando sulla sicurezza e l’efficienza della città. Ci sono moltissimi giovani, le ragazze ballano su ritmi da discoteca, gli anziani non accettano l’etichetta di nostalgici, sventolando bandiere spagnole ed europee.

Voci dalla piazza. «Sanchez vuole governare con i voti degli indipendentisti catalani e ha promesso all’ultrasinistra la riduzione dell’orario settimanale di lavoro e tasse sulle banche che finanziano la ripresa economica del paese», dice Antonio, 35 anni, che lavora in un istituto di credito e teme per il suo futuro. «In sostanza minaccia il mio lavoro e promette la libertà ai golpisti che, cinque anni fa, hanno promosso un referendum illegale per l’indipendenza della Catalogna». «I cittadini sono uguali di fronte alla legge?», mi chiede una ragazza, 22 anni, studentessa di letteratura. «Dov’è l’Europa? Ci meritiamo tutto questo? Ecco, un colpo di spugna con una legge anticostituzionale per ottenere otto voti necessari a governare! I voti degli indipendentisti, la Spagna si vende all’asta!».

Lo scontro in Parlamento

Anche nel cuore dell’indipendentismo, nella ricca è bellissima città di Barcellona, le voci sono controverse, nell’accento catalano che molto ricorda il genovese: «L’indipendenza non ci sarà, il baratto che i nostri partiti hanno fatto con Sanchez è solo per avere l’amnistia, la liberazione dei leader e di 400 attivisti, ma la Catalogna cosa ci guadagna? E come farà se la legge verrà giudicata incostituzionale?». Altri difendono l’amnistia: «Non è un perdono, è un atto di giustizia. Gli indipendentisti sono stati condannati solo perché indipendentisti. Diamo il nostro voto a questo governo perché sia fatta giustizia, ma lo vedremo giorno per giorno». «Non è paradossale? Sogniamo una repubblica catalana indipendente e siamo determinanti per la formazione di un governo centrale del Regno di Spagna!».

In Parlamento, il leader del Partito popolare Alberto Núñez Feijóo parla di democrazia mutilata, di una nazione dove i cittadini non sono più uguali, di un Governo che volta le spalle a metà del paese che è sceso per quindici giorni di fila nelle piazze. Il leader della destra di Vox, Santiago Abascal, accusa Sanchez di essere come Hitler che andò al potere con le elezioni prima di instaurare la dittatura, la presidenza lo richiama e lui grida che in parlamento ogni deputato ha diritto di parola.

Sanchez risponde alle accuse, annuncia politiche di sinistra, sostegno alla Palestina e alla comunità lgbt e, sul punto più controverso, l’amnistia, dice che è il contrario di un attacco alla democrazia, è una prova della forza e del coraggio di voler unificare il paese con il dialogo. Il leader socialista ha abituato da tempo gli spagnoli ai colpi di scena, ma in pochi, alla vigilia delle elezioni del 23 luglio, avrebbero scommesso sulla sua permanenza alla Moncloa, il palazzo del governo.

Maggioranza eterogenea

Il Partito popolare di Feijto ha ottenuto più voti nelle ultime elezioni, ma non abbastanza per governare. Ha cercato l’appoggio di Vox, ma questo ha gli ha precluso il sostegno degli altri partiti, ha dovuto rinunciare all’investitura che è passata ai socialisti di Sanchez, secondo partito alle Cortes, che è riuscito nell’acrobatico tentativo di formare un nuovo, e inedito, patto di governo promettendo molto a molti. A cominciare da Carles Puigdemont, il leader dell’indipendentismo, condannato in Spagna, che vive a Bruxelles, dove è deputato europeo e gode dell’immunità assicuratagli dalla Corte Europea e che non può, ad ora, rientrare in patria.

L’amnistia servirà anche e soprattutto a lui, che in politica non ha mai nascosto idee liberali, lontane, molto lontane, dalla sinistra estrema di Sumar, guidata da Yolanda Diaz, che chiede la riduzione delle ore di lavoro settimanali a 37,5, la proroga delle tasse sulle banche e le società energetiche, l’aumento del salario minimo e la riduzione dei voli nazionali a favore dell’uso del treno. Programma che stride anche con le altre forze politiche che hanno appoggiato l’investitura di Sanchez, che vanno dal Partito nazionalista basco ai catalani di Junts, che sono più vicini all’area del centro-destra. Non sarà facile, anche perché Sanchez non dispone della maggioranza al senato. Vedremo. In molti in questi giorni hanno ricordato che, quattro anni fa, Sanchez intitolò la sua autobiografia Manual de resistencia.

Díaz Ayuso si prepara

Se il manuale di Sanchez dovesse fallire e il paese tornare alle urne, c’è già chi vede Díaz Ayuso pronta a correre per la presidenza. Lei insiste sul ”Modello Madrid” e parla dei suoi successi amministrativi che passano da «una buona gestione dei servizi pubblici e anche dalla difesa di determinati valori, ma andando in profondità con una visione aperta, liberale e generosa, al di là delle ideologie». Lei c’è riuscita con una solida maggioranza a livello locale, ma le Cortes sono frammentate in partiti troppo diversi ideologicamente, socialmente e, soprattutto, riflettono le tante identità che formano la Spagna.

Intanto, in piazza, la folla di destra grida «Espana unida jamás será vincida», la sinistra fa eco: «El pueblo unido jamás será vencido». Per ora questa unità nel parlamento si regge solo su un difficile quanto eterogeneo compromesso. La sfida di Sanchez sarà ben più ardua della semplice resistencia.

Exit mobile version