Scontro Bruti-Robledo, il foro di Milano: «Si può parlare pubblicamente dei poteri delle procure, visto che riguardano tutti i cittadini?»

La Camera penale di Milano denuncia come «pilatesca» l'archiviazione del Csm e chiede un incontro a porte aperte con i pm. Intervista al presidente Salvatore Scuto

«Ponzio Pilato sembra essere passato recentemente da Roma e aver trovato una comoda sistemazione proprio a Palazzo dei Marescialli». A denunciarlo, nero su bianco, sono gli avvocati della Camera penale di Milano che, attraverso una nota del loro consiglio direttivo, hanno chiesto alla procura milanese un incontro pubblico con tutto il foro per discutere dello scontro tra il capo Edmondo Bruti Liberati e il sostituto Alfredo Robledo. «È la prima volta nella storia, per quanto mi risulta, che a Palazzo di giustizia di Milano si presenta questa richiesta», dice a tempi.it Salvatore Scuto, presidente della Camera penale del capoluogo lombardo.

Avvocato Scuto, dunque secondo voi “Pilato ha trovato una sistemazione al Csm”?
È una metafora, perché la decisione del Csm (l’archiviazione, ndr) dal nostro punto di vista non è stata una decisione che ha affrontato in pieno il problema che si è posto in seguito a questo scontro interno alla procura. Questa non è solo una questione di “mancati vincitori” e “vinti”, cosa della quale non ci interessiamo proprio. È una materia molto delicata, perché si fa riferimento ad un ufficio giudiziario importante che segue inchieste scottanti, di conseguenza il rischio di strumentalizzazione è molto forte. Noi, come penalisti che lavoriamo in questo foro, ne siamo consapevoli forse più di altri, ma il punto è che con la vicenda dello scontro in realtà si toccano temi che riguardano tutti i cittadini, non solo i pm o gli avvocati.

Infatti nella vostra nota scrivete che «gli irrinunciabili princìpi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura non possono consentire che l’esercizio di un potere così delicato, che è idoneo a investire la stessa sfera di libertà dei cittadini, sia avulso da ogni controllo, al punto da risultare espressione di un’ampia e incontrollata discrezionalità». Perché e in cosa vedete questo pericolo?
La riforma dell’organizzazione degli uffici giudiziari, voluta nel 2006 dall’allora ministro della Giustizia Castelli e modificata dal suo successore Mastella, è intervenuta disponendo una forte gerarchizzazione in questi uffici e affidando un potere molto ampio al capo della procura. Rispetto a questa gerarchizzazione, come Camera penale, abbiamo sempre avuto sin qui un’opinione positiva: si sono impediti infatti certi atteggiamenti tipici di alcuni procuratori – parlo in generale e non specificamente del caso Milano – obbligando i pm a una visione omogenea, per esempio su temi come le misure di custodia cautelare.

A quali “atteggiamenti tipici” dei pm fa riferimento?
Per esempio la nuova organizzazione degli uffici giudiziari ha impedito i protagonismi di alcuni pm, che gestivano rapporti diretti con i media e facevano arresti clamorosi a favore di telecamera. Negli ultimi anni avevamo visto moltissimi casi di questo tipo: la legge del 2006 è intervenuta in questa direzione e questo è un fatto positivo. Ma è anche necessario che questo potere gerarchico trovi un’applicazione chiara, conosciuta a tutti i pm, e che preceda l’esercizio del potere stesso. Penso che ci vogliano dei criteri organizzativi per impedire che il procuratore capo si alzi una mattina e faccia una cosa e la mattina dopo ne decida una opposta. Lo dico perché i criteri organizzativi della procura non possono che riverberarsi sull’esercizio dell’azione penale stessa. E questo appunto riguarda tutti noi cittadini, non solo i magistrati.

Invece il Csm, nel caso Milano, alla fine ha tolto ogni riferimento critico all’organizzazione degli uffici, compreso il richiamo di una delle commissioni al fatto che Bruti avesse affidato l’indagine Ruby a Ilda Boccassini senza motivare bene la sua scelta. In questo modo Palazzo dei Marescialli vi ha “risposto” che non ci sarebbero riverberi degli scontri nel lavoro dei pm. Cosa ne pensa?
Penso che a fronte di una questione molto delicata, dentro al Csm sono prevalse solo le logiche di corrente. Poteva essere l’occasione di una riflessione all’interno della magistratura, dato che il caso Milano segue ad altri, come quello di Genova e Catania, che pure nascevano dal problema dell’organizzazione gerarchica dell’ufficio e dal problema dei rapporti tra capi e sostituti sull’assegnazione dei fascicoli. Il Csm invece di fatto non ha deciso. Per noi è una “non decisione”. Il «tentativo di rafforzare l’autorevolezza della procura di Milano» (sono state queste le parole del vicepresidente Piero Vietti) ha di fatto lasciato senza una valida risposta tutte le questioni che il conflitto ha posto in evidenza. La discrezionale dilatazione dei tempi di iscrizione delle notizie di reato, alcune delle quali restano “parcheggiate” per mesi a carico di ignoti o per lungo periodo non aggiornate, sono fenomeni in grado di incidere negativamente sull’esercizio dell’azione penale. Crediamo perciò che sia opportuno e necessario, anche senza scendere nei particolari del caso, un confronto pubblico, tra procura e foro, per discutere di quello che sta accadendo. Non sono problemi attinenti alla sola procura, che possano rimanere interni alle pareti di quell’ufficio. È necessaria un’operazione di trasparenza sui criteri di organizzazione interna, nota a tutti.

La procura di Milano cosa vi ha risposto?
Non ci hanno risposto ancora nulla.

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