Scontro Bruti-Robledo. «Le toghe hanno perso la verginità. Ora è chiaro che fanno valutazioni politiche sulle indagini»

Intervista a Frank Cimini, gran conoscitore del palazzo di giustizia di Milano, su una guerra interna alla procura che «fotografa la situazione della magistratura: le inchiesta sugli "amici" si arenano mentre il Csm decide di non decidere»

È diventato una guerra aperta ormai lo scontro tra il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo, che la settimana scorsa si è visto togliere il coordinamento del dipartimento che indaga sui reati della pubblica amministrazione e si è visto destinare all’ufficio esecuzione pena, dove non si conducono inchieste. Una rimozione-punizione di fatto. A cui segue la notizia odierna dell’indagine a carico del procuratore da parte del tribunale di brescia, per omissione di atti d’ufficio sul caso Sea (altro caso al centro dello scontro con Robledo).
Per un osservatore attento delle cose del palazzo di giustizia milanese, il cronista Frank Cimini, tutta questa vicenda svela «a tutti e senza ombra di dubbio che i magistrati hanno perso la loro presunta verginità. Agiscono in modo politico. E la procura di Milano si è trasformata in un vero porto delle nebbie, dove le inchieste “scomode” per gli amici si smarriscono chissà dove».

Bruti ha di fatto rimosso Robledo. Lei se lo aspettava?
Lo scontro tra i due è durissimo, era una delle cose che poteva succedere. Ci stava, visto che la riforma Castelli, ha aumentato i poteri dei capi procura, divenuti responsabili unici della distribuzione delle deleghe e delle assegnazioni delle indagini. In una guerra così Bruti usa tutti questi suoi poteri, non è strano.

Perché sostiene che in questa vicenda «la magistratura ha perso la sua verginità»?
Prendo in giro chi ha creduto alla funzione salvifica della magistratura, e della procura di Milano in particolare. A questa funzione io non ho mai creduto, né prima, né durante, né dopo “Mani pulite”. Ma ora questa vicenda, comunque finisca, mostra chiaramente a tutti che i magistrati fanno politica. È una lotta di potere iniziata anni fa, ma anche la fotografia di una situazione: i magistrati fanno valutazioni politiche sulle loro inchieste, accedono a questo lavoro solo in virtù di un concorso e poi possono permettersi di fare quello che vogliono. Il risultato dello scontro tra Bruti e Robledo inoltre è che si è arenata un’inchiesta, quella su Sea, che coinvolgeva la giunta di Milano. Quell’indagine è iniziata sei mesi dopo di quando avrebbe dovuto, così Robledo non ha mai potuto chiedere le intercettazioni né trovare prove sufficienti. A causa di una sua dimenticanza Bruti – è una delle poche cose che ha ammesso davanti al Csm – ha consegnato con sei mesi di ritardo il fascicolo dell’inchiesta. E il succo è che oggi l’inchiesta non si può più fare. Ditemi se questo non è fare politica.

Dopo la rimozione Robledo ha annunciato che invierà nuove carte al Csm, dove intanto la discussione sullo scontro con Bruti è ferma da mesi per via del ritardo nelle nomine. Cosa pensa che accadrà?
Il Csm ha dimostrato – grazie anche agli interventi espliciti di Vietti e di Napolitano – che non ha fretta di decidere. Finché potrà deciderà di non decidere finché Bruti non andrà in pensione, il 31 dicembre 2015. E visto che nessuno può mettere becco sulle azioni del Csm, lo lasceranno fare.

Perché il Csm ha scelto di “decidere di non decidere” sullo scontro Bruti-Robledo? Perché Bruti è esponente della corrente di sinistra, Magistratura democratica? O è per non scretidare una procura italiana “di punta”?
Per tutti questi motivi insieme. Io però mi pongo una domanda: se un pm qualsiasi si fosse “dimenticato” per sei mesi un’indagine su Berlusconi, non sarebbe stato subito indagato per corruzione in atti giudiziari, sbattuto sulle prime pagine dei giornali e magari anche in carcerazione preventiva? Nello scontro milanese è emerso che il fascicolo dell’inchiesta Sea è stato “perso” nel cassetto di Bruti Liberati per mesi. C’erano in ballo possibili irregolarità in una gara, ma grazie al ritardo della procura di Milano la gara alla fine si è svolta e l’ha vinta chi doveva vincere. Robledo l’inchiesta l’ha fatta, ha chiesto il rinvio a giudizio degli indagati e a giorni ci sarà l’udienza preliminare, ma dato che non ci sono intercettazioni, l’inchiesta a mio avviso risulta monca e secondo me non farà molta strada.

Bruti ha accusato Robledo di aver depositato 172 milioni di euro, sequestrati durante l’inchiesta “derivati”, in una banca brianzola, quando invece avrebbe dovuto versarli nel Fug, il Fondo unico giustizia, allo sportello Bnl del palazzo di giustizia. Robledo sostiene che i tassi dell’istituto brianzolo erano superiori e hanno permesso allo Stato di guadagnare 1,5 milioni, il triplo dell’offerta Bnl. Lei che ne pensa?
Il problema è che secondo me Bruti si sta arrampicando sugli specchi. Era stato avvisato da Robledo, questa è solo una guerra in cui si usano tutti i poteri, e Bruti ha deciso di andare come un carroarmato. In questo momento alla procura di Milano c’è un capo che comanda, non dirige.

Che aria si respira nel palazzo?
In segreto e anonimamente sono tanti i pm che si lamentano. Ci sono i magistrati che seguono inchieste scottanti, come quelle su Expo e Mose, che si dicono disorientati perché non sanno come fare: non è il clima ideale per lavorare. Sono successe cose gravi d’altra parte, basti ricordare che ci sono già state violazioni nelle assegnazioni di inchieste importanti, come è avvenuto per il caso Ruby, e proprio per interferenza di Bruti. Approfittando del fatto che era stato nominato quasi all’unanimità dal Csm, Bruti si è comportato da vero politico. Ha fatto valutazioni politiche sulle inchieste, non solo su quella contro la giunta Pisapia, ma anche su quella contor Podestà. Quando l’Anm un giorno sì e l’altro pure si straccia le vesti per difendere l’indipendenza della magistratura, mi chiedo: sono davvero indipendenti i magistrati? E da chi?

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