
Se Liu Xia è libera, dobbiamo ringraziare Angela Merkel (ma anche Donald Trump)

È finalmente libera l’attivista cinese per i diritti umani Liu Xia. La vedova del premio Nobel per la pace, Liu Xiaobo, lasciato morire l’anno scorso di cancro al fegato dal partito comunista, si trovava agli arresti domiciliari senza accuse formali dal 2010. A bordo di un volo Finnair, dopo aver fatto scalo in Finlandia, la donna è atterrata in Germania. La grande notizia è stata confermata dal fratello Liu Hui: ora potrà «iniziare una nuova vita».
L’IPOTESI SUICIDIO. Centinaia di attivisti e intellettuali si sono spesi in questi anni per la sua liberazione, soprattutto dopo la morte di Liu Xiaobo. Nell’ultimo anno l’artista ha sofferto di un’acuta depressione e come rivelato dall’amico Ye Du, che ha pubblicato online le registrazioni delle sue telefonate con lei, ha anche meditato più volte il suicidio: «È più facile che io muoia. Non sono più spaventata da niente. Se non posso andarmene» dalla Cina, «morirò qui in casa. Xiaobo se n’è andato e nel mondo non è rimasto più niente per me», si sfogava tra le lacrime a maggio.
RICATTO DEL REGIME. Ma perché il regime comunista, da sempre refrattario a lasciar partire all’estero le persone che considera “nemici politici” e da sempre sordo a ogni critica umanitaria, ha deciso di mollare la presa su Liu Xia? Sicuramente voleva evitare che il 13 luglio, primo anniversario della morte di Liu Xiaobo, si scatenasse una campagna internazionale a favore della sua liberazione. Ma la Cina non si è mai curata troppo dei danni d’immagine e ha sempre saputo attendere che le critiche cadessero nel dimenticatoio. Inoltre, rifiutandosi di lasciar partire il fratello della donna, Liu Hui, condannato ingiustamente nel 2013 a 11 anni di carcere, poi rilasciato e da allora sempre tenuto sotto stretta sorveglianza, il partito comunista si è garantito di poter sempre ricattare l’attivista, obbligandola probabilmente al silenzio anche all’estero.
I MERITI DELLA MERKEL. Non è per ragioni d’immagine che Pechino ha lasciato andare Liu Xia, bensì politiche. Due sono infatti i leader da ringraziare per questo risultato: la cancelleria tedesca Angela Merkel e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. La prima ha meriti diretti, il secondo indiretti. Berlino ha sempre dimostrato empatia per la sorte della donna e del marito e si è sempre detta disposta ad accoglierla. Poche settimane fa Merkel è tornata in Cina per stringere accordi economici (è l’11ma volta dal 2015) e nel silenzio ha tessuto una trama per riportare Liu Xia a casa. L’impegno profuso dalla cancelliera è encomiabile e le va riconosciuto a pieno titolo.
I MERITI DI TRUMP. Tuttavia non è un merito esclusivo e probabilmente Merkel non avrebbe avuto successo senza le intemerate di Trump. Se infatti gli Stati Uniti non avessero cominciato una guerra commerciale con la Cina, non avrebbero mai spinto Pechino a sentire la necessità di stringere alleanze con i nemici di Trump. «La Cina spera di allearsi con la Germania contro gli Usa dopo l’inizio della guerra commerciale», ha dichiarato un esperto commentatore politico di Hong Kong come Johnny Lau. «Pechino ha colto al balzo la possibilità di fare un piacere a Berlino per rafforzare il rapporto».
ROMPERE LO STATUS QUO. Liu Xia sarebbe dunque una pedina di scambio in un gioco politico più ampio. Questo non toglie nulla ai meriti che vanno attribuiti alla cancelleria Merkel, ma ne aggiunge alcuni a Trump, che pure non ha mai dimostrato alcuna sensibilità né verso i diritti umani in generale né verso il caso specifico di Liu Xia. È la dimostrazione che alzare la voce e provare a rompere lo status quo, dalla Corea del Nord alla guerra dei dazi, che sono un disperato tentativo di mettere sotto pressione la Cina e spingerla a rispettare le regole commerciali come le principali potenze economiche del mondo, può portare a conseguenze imprevedibili. In alcuni casi, forse, queste conseguenze saranno negative. Oggi intanto Liu Xia è libera.
Foto Ansa
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