
Se nel ’22 ripeteremo il ’92 sarà una catastrofe

Non mi risulta che sia stato ancora sufficientemente indagato, anche solo per farne un docufilm fantapolitico per Netflix, l’anno italiano 1992. Inchiesta urgente, anche per evitare che nel 2022, così come nel ’92 le Camere furono chiamate a eleggere il successore di Cossiga in un contesto internazionale fibrillante, si possano rivedere scene simili a quelle di allora. Nella vulgata il ’92 coincide con lo scoccare dell’ora provvidenziale di Mani pulite. In realtà, il ’92 non inizia con l’arresto del “mariuolo” socialista Mario Chiesa (3 marzo). E non è ancora l’anno – sarà bensì il ’93 indagato dall’ingegner Cavenaghi in Addio Milano bella di Lodovico Festa – che rotola fino a diventare la famosa valanga Tangentopoli. A ben guardare, gli avvenimenti più rilevanti del ’92 non hanno nulla a che vedere con lo smantellamento del sistema dei partiti e della democrazia centrata su elezioni e Parlamento, con la scusa della lotta alla corruzione (così come più avanti la scusa sarà lo spread e il Covid).
Meglio. A ben guardare, gli avvenimenti del ’92 hanno a che vedere con lo smantellamento dei partiti e dello Stato di diritto in Italia nella misura in cui la cosiddetta “rivoluzione giudiziaria” sarà conseguenza di avvenimenti potenti che intervengono a determinare un quadro italiano di grande instabilità. Come la disarticolazione ufficiale dell’Unione Sovietica (1 gennaio) e la firma del Trattato di Maastricht (7 febbraio). Anche solo questi due eventi di inizio ’92 ricordano che a un certo punto l’Italia si trovò “scoperta”. Sia sul fianco politico, poiché la Guerra fredda l’aveva collocata in un punto cruciale tra Washington e Mosca, sia sul fronte economico, visto che l’Italia veniva sospinta nel nuovo ordine continentale disegnato a Maastricht. Figurando sì l’Italia tra le prime potenze mondiali, ma anche esigendo dall’Italia medesima (secondo una linea “europeista” che va da Romano Prodi a Mario Monti) il rientro da un debito pubblico record, non per questo però sintomo di declino se non fosse stato per la “rivoluzione” giudiziaria imposta al paese.
Il 28 aprile ’92 Francesco Cossiga rassegnò le dimissioni anticipate da presidente della Repubblica, dopo che aveva tentato di assegnare a Bettino Craxi il mandato di formare il governo. E gli avvenimenti precipitarono. Il tritolo uccise Giovanni Falcone (23 maggio) alla vigilia di elezioni presidenziali in cui sembrava favorito Giulio Andreotti e invece, 48 ore dopo l’attentato (25 maggio), fu sospinto al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro. Politico dc che aveva appena depositato un disegno di legge per l’abolizione dell’immunità parlamentare, guarda caso.
A giugno inoltrato Scalfaro diede l’incarico a Giuliano Amato di formare un governo. Governo che il 10 luglio varò una finanziaria da 30 mila miliardi e nella notte di quello stesso giorno attuò un prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti di tutti gli italiani. Non ci fu tempo per discutere e dividersi sui pesantissimi provvedimenti del governo che il tritolo uccise il magistrato Paolo Borsellino (19 luglio). Il 16 settembre la lira fu costretta a uscire dal sistema monetario europeo in conseguenza di una speculazione finanziaria lanciata contro l’Italia da George Soros tramite il suo fondo Quantum, guadagnando una cifra stimata attorno a 1,1 miliardi di dollari.
E Andreotti capì
Il 30 settembre la manovra si completò con altri 93 mila miliardi. In totale furono oltre 120 mila i miliardi messi sulle spalle degli italiani nel 1992. Natale e Capodanno portano in dono ad Andreotti due articoli del New York Times che in sostanza lo indicavano come il cervello di quasi mezzo secolo di politica estera e vaticana in Italia: era lui il capo della mafia. Andreotti capì e si preparò a vivere il resto della vita dentro i processi.
Poi, possiamo anche parlare del 1993 indagato dall’ingegner Cavenaghi. E di quella repubblica giudiziaria che arriva fino alla crisi del secondo governo Conte. Nel 2022 saranno passati 30 anni. Siamo a febbraio. La data chiave resta però il 2022. Si vota il presidente della Repubblica. Dopo Cossiga, non ne abbiamo visto uno che non fosse di sinistra ed “europeista” nel modo in cui lo è stato il professore (e anche consulente di Pechino) Romano Prodi. Attenzione a non ripetere il ’92. Sarebbe la catastrofe.
Foto Ansa
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