
Sempre meno bambini, sempre più vecchi. L’Occidente sta diventando un ospizio
Nel 2011 Luigi Campiglio, docente di politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, aveva presentato una relazione poco ottimista sul futuro economico e sociale dell’Italia, descrivendola come il paese con il più alto tasso di denatalità insieme al Giappone. «Denatalità – chiariva Campiglio – che influirà negativamente sulla forza lavoro e quindi sulla produttività e sulla crescita economica». Fatto a cui nemmeno gli immigrati, «costretti a ripensare ai propri stili di vita e a mettere al mondo meno figli», potranno porre rimedio.
PIU’ MORTI CHE NATI. Sabato sul Foglio Giulio Meotti ha scritto un articolo che conferma la tesi del professore, estendendola però a tutto il Nord del mondo, ossia ai paesi industrializzati. Se la crisi demografica aggrava quella economica emerge, però, che la prima non è riconducibile alla seconda. Per quanto riguarda l’Italia viene preso in considerazione Sviluppo e declino demografico in Europa e nel Mondo, saggio dell’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, in cui si legge che, se non ci saranno aumenti dell’indice di natalità nei prossimi decenni, nel corso di due generazioni il numero degli italiani sarà dimezzato. Mentre James Vaupel, direttore del Max Planck Institute, nel suo studio A generation of Centenarius, conclude che «se i tassi di crescita restano bassi, la popolazione italiana potrebbe essere di 10 milioni alla fine del XXI secolo».
TASSO DI FECONDITA’. Meotti passa poi alla Spagna, il cui inverno demografico è descritto nel saggio appena pubblicato di Alejandro Macarrón Larumbe, intitolato El suicidio demográfico de España, per cui «dagli attuali 47 milioni di abitanti la Spagna è destinata a passare a 35 milioni in trent’anni». Nel paese iberico in ventuno province su cinquanta ci sono più morti che nati. Numero che salirebbe a quaranta se non ci fossero i figli degli immigrati.
Ma è l’Unione Europea in generale, spiega Meotti, «la regione del mondo che presenta il più basso tasso di fecondità (1,47 figli per donna) e la più alta percentuale di popolazione ultra-sessantaquattrenne (16,4 per cento degli abitanti dell’Europa dei dodici)». Qui coloro che hanno superato i 64 anni sono più numerosi dei bambini (i minori di 14 anni sono solo il 16,2 per cento della popolazione). Ma questo fenomeno, oltre a toccare anche il Giappone e il Nord America (paese comunque ancora in vantaggio rispetto all’Europa per via della maggiore immigrazione), è ascrivibile anche alla Russia e ai paesi dell’Est, dove il tasso di natalità oscilla tra l’1/1,3.
Mettendo insieme tutti i numeri dall’articolo emerge che «la spaventosa crisi demografica» è propria solo delle «società più ricche, avanzate e libere del mondo». Il Nord Africa e il Medio Oriente, ad esempio, hanno una media di 3,4 figli per donna, con solo il 3,6 per cento di anziani e il 37,8 per cento di bambini.
I RICCHI NON I POVERI. Ma il dato più interessante riguarda la Germania dove, rispetto a 100 anni fa, la popolazione è diminuita del 25 per cento. A guardare quanto sta accadendo nel gigante d’Europa, in cui il panorama «è persino peggio di quello della Spagna, tanto che il settimanale tedesco Spiegel ha titolato un lungo servizio “Una terra senza figli”», ci si accorge che nulla cambia anche se ci sono «gli incentivi del governo a ribaltare il trend in quella che è la più fiorente economia». A ulteriore conferma della tesi secondo cui il problema della denatalità non è riconducibile alla mera crisi economica.
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