La sentenza sul presunto terrorista “eroe” dei pro Pal è una condanna per Israele

Di Giancarlo Giojelli
15 Marzo 2024
Anan Yaeesh è accusato di aver pianificato attacchi «anche in Italia». Il no all’estradizione basato sulle accuse di Amnesty e altre Ong: «Nelle carceri dello Stato ebraico trattamenti crudeli, disumani o degradanti»
Manifestazione pro Palestina e contro l’estradizione di Anan Yaeesh a Roma, 29 febbraio 2024
Manifestazione pro Palestina e contro l’estradizione di Anan Yaeesh a Roma, 29 febbraio 2024 (foto Ansa)

La sentenza era immaginabile, la motivazione no. Una motivazione destinata a pesare anche sulle future decisioni della magistratura e soprattutto diventata già un sostanziale argomento di chi accusa Israele di essere uno Stato “torturatore, che viola i diritti umani”, perché a dirlo non sono organizzazioni pro Palestina ma giudici italiani: la Corte d’appello dell’Aquila.

Non verrà estradato in Israele Anan Yaeesh, il 37enne palestinese di Tulkarem arrestato il 27 gennaio nel capoluogo abruzzese, da tempo ricercato per terrorismo dalle autorità dello Stato ebraico e da lunedì scorso oggetto con altri due palestinesi di un nuovo provvedimento di custodia cautelare in carcere – stavolta tutto italiano – con l’accusa di attività terroristiche «tese a organizzare attentati suicidari in territorio israelo-palestinese, in particolare in Cisgiordania», come scritto nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari.

Il motivo principale del no all’estradizione, scrive la Corte nella motivazione del pronunciamento, è il rischio che l’uomo, qualora consegnato allo Stato di Israele «possa essere sottoposto a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o comunque ad atti che configurano la violazione dei diritti umani».

«Nelle carceri israeliane condizioni penose»

La prova? Nel pronunciamento i giudici dell’Aquila affermano che nelle relazioni delle Ong, delle associazioni pro Palestina, di Human Rights Watch e di Amnesty International si «fa riferimento a condizioni di detenzione nelle carceri israeliane oltremodo penose per i cittadini palestinesi, caratterizzate da sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria, ulteriormente peggiorate in concomitanza con il conflitto armato attualmente in corso».

Per dovere di cronaca occorre ricordare che Amnesty ha più volte espresso preoccupazione analoga per la salute dei detenuti nelle carceri italiane, proprio a causa dell’affollamento e delle condizioni igieniche. Ma quella che farà notizia è il fatto che vengono dati per assodati i trattamenti crudeli disumani e degradanti, messi in atto da Israele nei confronti dei palestinesi, esattamente quello che sostengono i nostri “pro Pal”. D’ora in poi accusare Israele di torture non sarà dunque solo una opinione o una libera espressione di un pensiero, ma un fatto motivato da un pronunciamento giudiziale.

La difesa dell’accusato

Alla vigilia della sentenza gli avvocati di Anan Yaeesh e i suoi sostenitori che da tempo manifestano per lui nelle piazze italiane avevano espresso il timore che la richiesta di estradizione fosse sì rifiutata, ma con diversa motivazione, e cioè che il nuovo reato per il quale il palestinese è stato arrestato ed è detenuto nel carcere di Terni è stato compiuto in Italia e in Italia deve essere giudicato.

Corteo a Milano contro il “genocidio” nella Striscia di Gaza e per la liberazione di Anan Yaeesh, 9 marzo 2024
Corteo a Milano contro il “genocidio” nella Striscia di Gaza e per la liberazione di Anan Yaeesh, 9 marzo 2024 (foto Ansa)

Una motivazione che avrebbe evitato il pronunciamento contro Israele (invocato dagli avvocati del palestinese), e in effetti i giudici dell’ Aquila non hanno ignorato l’argomento del reato per il quale è accusato in Italia, ma lo hanno citato a rafforzamento della motivazione chiave: «Non si configurano le condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione», scrivono, in quanto il detenuto «è sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti oggetto della richiesta di estradizione nell’ambito di un procedimento promosso dalla procura dell’Aquila».

«Volevano colpire anche in Italia»

I presunti reati attribuiti a Yaeesh e compiuti in Italia sono sintetizzati nelle intercettazioni depositate alla procura nazionale antiterrorismo dai magistrati dell’Aquila, che tenevano da tempo sotto osservazione il gruppo stabilitosi in Abruzzo perché nella ricostruzione post terremoto, dicevano, «era più facile trovare lavoro».

Dall’Abruzzo i tre palestinesi avrebbero progettato di colpire obiettivi di primissimo livello in Israele e in Cisgiordania. «E anche in territorio italiano», scrive il gip Marco Billi nell’ordinanza di custodia cautelare. Che cita le inquietanti intercettazioni: «Un’unità suicida è pronta ad agire: la nostra azione sarà la prossima». E ancora: «Se il tuo amico fa delle foto a tutti quelli del gabinetto di guerra, a Netanyahu e la sua banda… come le carte da gioco… qualcuno come jolly […] fai un elenco». Parlano di «un pacco dell’amore» cioè un’autobomba da lanciare contro obiettivi israeliani ad Avnei Hefetz, un insediamento in Cisgiordania. Così come stavano cercando un’arma che secondo gli inquirenti doveva essere usata nel nostro paese.

La polizia è arrivata così l’11 marzo all’arresto di Yaeesh, di Ali Saji Ribhi Irar (30 anni) e di Mansour Doghmosh (29 anni) per aver organizzato dall’Italia un’unità militare, chiamata “Gruppo di risposta rapida – Brigata Tulkarem”, che voleva essere un’articolazione dei Martiri di Al-Aqsa, l’ala armata del partito Fatah riconosciuta come organizzazione terroristica dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti.

Telecamere per i fucili

Non solo: i tre – sempre secondo quanto ricostruito dagli agenti dell’antiterrorismo – da tempo gestivano flussi di denaro per finanziare la Brigata Tulkarem. E tra i progetti c’era anche la documentazione delle loro future gesta: volevano comprare delle telecamere da utilizzare in un eventuale attentato. «La settimana prossima ti arriveranno delle telecamere da installare sul fucile e sui berretti, più giubbotti di protezione… Così ogni combattimento, ogni colpo viene filmato». Esattamente quello che ha fatto Hamas il 7 ottobre in Israele.

Un’immagine contenuta negli atti dell’inchiesta antiterrorismo della procura dell’Aquila su Anan Yaeesh e altri due palestinesi
Un’immagine contenuta negli atti dell’inchiesta antiterrorismo della procura dell’Aquila su Yaeesh e altri due palestinesi, descritta da Repubblica come «una fotografia scattata sulle scale della loro casa nella periferia de L’Aquila. Un sorriso a favore della telecamera di uno smartphone. Sullo sfondo un fucile appeso. La didascalia, come fosse quella di una normale tavolata domenicale. “Se inizia la guerra, giuriamo di farla come la preghiera del pomeriggio”»

Discorsi quantomeno strani per un uomo che in Italia risultava impiegato come pizzaiolo. Già prima del nuovo arresto di lunedì scorso il palestinese era diventato una bandiera degli attivisti pro pal. Per lui la scorsa settimana c’era stato un sit in sotto al carcere di Terni, al grido «la resistenza non è un reato», e sulle cancellate del Palazzo di giustizia de L’Aquila hanno appeso uno striscione: «La resistenza non è un crimine, il genocidio sì. Anan Yaeesh libero, Palestina libera».

Il “partigiano” delle piazze pro Palestina

«La sua fidanzata», ricostruisce il gip nell’ ordinanza con la quale Yaeesh è stato arrestato, «era stata uccisa dall’esercito israeliano perché ritenuta una kamikaze. Dal 2003 al 2005, aveva fatto parte del movimento politico Fatah e successivamente si era arruolato nelle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa». Arrestato come terrorista da Israele con diverse accuse era uscito, non è chiaro come, dal carcere di Gerico nel 2013, trovando chi lo aveva aiutato in Europa. Un eroe per i palestinesi, come hanno sottolineato i suoi avvocati, secondo i quali i reati di cui era accusato erano in realtà azioni di difesa del campo profughi dove risiedeva. Resistenza, secondo la retorica narrativa delle fazioni palestinesi.

Era arrivato in Italia nel 2017, dopo che la Norvegia gli aveva rifiutato la protezione internazionale. Nel nostro paese aveva ottenuto invece protezione umanitaria e un permesso di lavoro rinnovato quattro volte. Il suo avvocato è Flavio Rossi Albertini, lo stesso che difende Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto per terrorismo in regime di 41 bis (anche per lui Amnesty aveva denunciato il trattamento carcerario in Italia definito crudele, inumano e degradante). La difesa ora si prepara al processo in Italia, per le piazze pro Pal lui è già innocente, un eroe, e le sue azioni sono «una difesa» paragonabile a «quella dei nostri partigiani».

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.