
Senza la ricerca la barca non va
Recentemente, uno studente lavoratore che opera in una grossa azienda di pneumatici ha presentato una tesi sul controllo della qualità industriale e ha dimostrato che attraverso l’utilizzo di tecniche statistiche era possibile migliorare il prodotto incrementandone le prestazioni, soprattutto in situazioni estreme. Naturalmente la tesi è stata molto apprezzata, come il suo autore, poi valorizzato in azienda. Lo studente ha però rilevato come fosse difficile far capire, anche in un’azienda ai vertici nel controllo della qualità industriale, l’utilizzo di tali studi che si distaccano dalla routine. La paura è sempre quella di aumentare i costi, relativi a questioni non strettamente necessarie per un incremento delle vendite, soprattutto nel breve periodo. L’esempio travalica il caso particolare per suggerirci uno dei problemi (troppo spesso poco sottolineato) più gravi di cui soffre la nostra impresa: un problema di costume e politico. Sul piano della genialità creativa e imprenditoriale, gli italiani hanno pochi rivali e sono leader mondiali in settori di nicchia. Quindi, dire che piccola impresa è indice di sottosviluppo è un’ignoranza spesso colpevole. Tuttavia, perché popoli meno geniali di noi riescono ad avere produzioni stabili nel tempo, standardizzate? Perché piccole imprese possono diventare grandi e leader nei settori innovativi della tecnologia più avanzata? Per il semplice fatto che anche il genio più genio deve aver l’umiltà di non affidarsi unicamente alla sua capacità, e il governo deve smettere di pensare “fin che la barca va lasciala andare” sfruttando in modo parassitario una genialità non ordinata. Le economie più sviluppate hanno un nesso con università e ricerca infinitamente maggiore della nostra. Ogni prodotto è analizzato, migliorato, controllato e addirittura, molte innovazioni scientifiche e tecniche nascono nelle imprese trattando “prodotti grezzi”. Questo in Italia avviene poco: molti imprenditori pensano, per il fatto di essere geniali, di non dover utilizzare le scoperte più avanzate della tecnologia; parte del sistema associativo e industriale non sempre favorisce lo sviluppo tecnologico, ma difende interessi corporativi per logiche di potere estranee; parte del sindacato pensa ancora di essere nel mondo delle ferriere e se ne infischia di questi miglioramenti di produttività legati all’uso delle tecniche innovative. Parte del mondo universitario, dominato dall’ideologia, per molto tempo si è fatto vanto di non volere rapporti con il mondo delle imprese. Soprattutto, parte del mondo politico, sia di maggioranza che di opposizione, ancora disprezza la ricerca e ne taglia i fondi non capendo che è come se si staccasse il boccaglio dell’ossigeno in fondo al mare. Il modello che si persegue sembra essere quello della Florida: di giorno tutti al mare, la sera in discoteca passando dal ristorante. E poi tanta, tanta, televisione. Molti talk-show, comizi o affabulazioni dialettiche, in cui si finge di parlare di politica quando si cerca di imbonire gli italiani o di stordirli con l’ennesima rissa verbale. Con buona pace di tutti, il nostro riferimento è l’America, purtroppo non l’America industriale e produttiva. Abbiamo dimenticato New York e stiamo inseguendo Miami: viva gli investimenti in crema solare e in decoder.
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