
Nel Sert si fa la sala d’incisione con soldi pubblici? «Sono assurdità del Fatto quotidiano»

«Sono tutte assurdità»: dice così a tempi.it Giovanni Serpelloni, ex direttore del Dipartimento delle politiche antidroga di palazzo Chigi ed ex direttore del Sert di Verona, smontando le accuse lanciategli il 27 agosto dalle colonne del Fatto quotidiano. Nell’articolo “Al Sert si fa la sala di incisione con i soldi pubblici”, il quotidiano di Marco Travaglio sosteneva che «Serpelloni aveva allestito una vera e propria sala d’incisione», mentre «sulla gestione Serpelloni indaga la Procura di Verona, per reati che vanno dalla concussione all’estorsione, alla tentata truffa».
Serpelloni non ci sta: «Ho parlato per un’ora al telefono con il giornalista, e poi l’ho fatto parlare per un’altra ora con chi si è occupato per la Fondazione Exodus dei progetti finanziati ma anche rendicontati per cui sono stati acquisiti quegli strumenti. Ma il giornalista non ha pubblicato nulla di ciò che gli è stato spiegato. La verità è che non esiste alcuna sala di incisione, sono solo fantasie esagerate per screditare persone e iniziative».
Scusi Serpelloni, il Fatto ha pubblicato le foto a riprova di quello che c’è negli scantinati del Sert di Verona: un microfono da 3.900 euro, due pianoforti digitali Yamaha, un basso Fender precision…
Io invito tutti ad andare al Sert di via Germania e a verificare di persona. C’è solo uno scantinato dove facevamo delle scuole di musica per i ragazzi di un quartiere periferico di Verona, Santa Lucia-Borgoroma. Facevamo lezioni di musica, serali dopo il lavoro, volontariamente. E ci tengo a sottolinearlo: nessuno degli operatori pubblici è stato mai pagato per queste attività musicali, che erano finalizzate a togliere i ragazzi dalla strada. C’era chi componeva musica, chi danzava, chi montava i video: erano tutte attività contro la droga, servivono a prevenire la diffusione delle droghe tra i più giovani. Io l’ho detto al giornalista del Fatto, ma lui ha scritto tutt’altro.
E perché secondo lei lo ha fatto?
La vera domanda è un’altra. Com’ha fatto il giornalista ad entrare nello scantinato? Nelle foto pubblicate si intravede una persona, noi sappiamo benissimo chi è.
E chi è, scusi?
Lo chieda alla dottoressa Giuseppina Bonamina, la direttrice della Uls 20, con cui abbiamo avuto un lungo contenzioso.
È in corso una vera e propria “guerra del Sert” a base di ricorsi al Tar, tra lei e la Bonamina, la dirigente dell’Uls 20 che l’ha licenziata lo scorso gennaio dal Sert.
C’è un’ordinanza del Tar che sottolinea che ci sono state delle irregolarità nelle sue decisioni. E nei giorni scorsi il Tribunale di Verona mi ha reintegrato nel posto di lavoro, insieme ad altre persone licenziate come me. Ma Bonamina sta facendo il diavolo a quattro per non farci rientrare: ho diretto il servizio per 25-30 anni e mi ha accusato di non aver fatto nemmeno il concorso. Io l’ho fatto 16 anni fa il concorso, mentre Bonamina continua a fare cose pazzesche, come facilitare l’uscita di questi articoli.
Potrebbe essere stato licenziato anche per altri motivi. C’è un’indagine della Procura di Verona in cui è indagato per reati come la concussione o la tentata truffa.
E chi lo dice? Io non ho ricevuto alcuna comunicazione di indagini a mio carico. Oltre tutto non ho commesso alcuna concussione, non ho nulla da nascondere. L’unica cosa che deve venire fuori, invece, è come questo direttore ci chiedeva soldi per finanziare suoi consulenti che non avevano niente a che fare con i progetti. Come ci chiedeva situazioni di vantaggio per la figlia, carabiniere, che io avrei dovuto secondo lei avvantaggiare. Tutte cose che abbiamo rifiutato di fare. E adesso per questo sa cosa mi succede?
Cosa?
Sono stato messo a organizzare le liste d’attesa. Sono in un ufficio amministrativo, a timbrare forse qualche ricetta. È chiaramente una decisione presa per umiliarmi: e il giornalista del Fatto, come ho detto ieri, è stato strumentalizzato per assecondare questi riti di umiliazione. Entrate dentro il Sert, andate a vedere. Non c’è alcuna sala di incisione, c’è una sala di musica, perché insegnavamo ai ragazzi. Con la musica si creavano relazioni che permettevano la terapia. Ma non c’è niente di scandaloso in questo. C’era un microfono degno dei Pink Floid, scrive il Fatto. Cosa ci posso fare?
Era lei che ha deciso quali strumenti musicali acquistare?
Alcuni. Altri ce li ha regalati la Fondazione Yamah; le “decine di tastiere” di cui si parla nell’articolo costavano nemmeno cento euro l’una: erano tastiere usb proprio per risparmiare. Gli amplificatori li usavamo per dei live all’esterno. Tanti anni fa c’era un bus a due piani su cui si esibivano i nostri ragazzi prima dei concerti all’Arena, un’iniziativa per attrarre pubblico e diffondere informazioni antidroga. Tutte attività, questa e i corsi serali di musica all’interno del Sert, approvate dalla Usl 20 e dalla Regione. Chiedete a Patrizia Allegra, responsabile veneto della Fondazione Exodus.
Raggiunta al telefono da tempi.it, Patrizia Allegra, documenti alla mano, dice a tempi.it: «Nel 2004-2005 a Verona si cominciava a presagire che la tossicodipendenza si stava diffondendo anche nelle fasce più giovani della popolazione. Fondazione Exodus aveva già esperienza in attività artistiche, uno dei cardini, assieme allo sport, al volontariato, e al lavoro, delle nostre attività educative. A Verona nel 2004 si iniziò a pensare allora di usare interventi di questo tipo per i giovani tossicodipendenti: i primi progetti finanziati sono stati addirittura di iniziativa regionale, e nemmeno dell’Ulss 20 o del Sert di Verona diretto da Serpelloni. Conoscendo lui e la sua squadra, mi ha colpita trovare dei colleghi disponibili a lavorare anche ben oltre l’orario di ufficio: il Sert all’epoca era un gruppo di lavoro straordinario, e riuscimmo a mettere in campo una lunga serie di attività. Il piano di lavoro prevedeva laboratori di composizione musicale, con la creazione di una sala di registrazione, un’area didattica che vedeva la collaborazione tra i ragazzi della comunità e quelli in cura del Sert, l’“allestimento di sale con l’acquisto di strumenti musicali”. Il piano si chiamava Dream on: era finanziato con fondi regionali, regolarmente deliberati dalla giunta dopo che ci eravamo presentati al bando, e con fondi dell’Ulss. A questi si sono aggiunti alcuni benefattori privati: per esempio Fondazione Yamaha ci ha donato 10 mila euro e vari strumenti musicali. C’era tra i progetti – un’attività che prima avevamo regolarmente presentato alla regione Veneto – un laboratorio di musica per i ragazzi di un quartiere periferico. Per vari motivi il laboratorio venne spostato nei sottoscala, ristrutturati, del Sert in cui lavorava Serpelloni. Lì vennero spostati anche alcuni strumenti musicali usati per le lezioni. Venivano tenuti dei corsi serali da volontari. Ripeto: si tratta di attività e di strumenti regolarmente rendicontati alla pubblica amministrazione. È chiaro che oggi la nuova dirigenza del Sert non sa che cosa farsene di questi strumenti, ma se chiamassero noi di Exodus, sapremmo benissimo cosa fare. Da quattro anni di corsi musicali non se ne tengono più. Da quando il dottor Serpelloni è andato a Roma, non ne sono stati più organizzati».
Qui il pdf del depliant delle attività Dream on 2006, dove si vede chiaramente che non si tratta di una “sala di incisione”
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5 commenti
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Per screditare le persone in questo modo bisogna essere veramente dei poveracci.
….infatti. E’ gente che fa ribrezzo.
A loro non gliene frega un fico secco delle terapie antidroga, perché quelli la droga la vogliono.
Dovete sapere che Verona negli anni 70 (seconda metà anni 70 in particolare) era una sorta “Bangkok in riva all’Adige” (non è mio il virgolettato, ma era il titolo di un articolo dell’Arena sulla diffusione dell’eroina tipo Brown Sugar in città.
Verona in quegli anni era la capitale dell’eroina del nordest.
Costava 100.000 al grammo, pura circa il 30% (per quanto il concetto di purezza farmacologica col Brown Sugar – eroina grezza – è relativo).
Nelle altre città intorno costava anche il doppio.
Tossici venivano dalle altre città, acquistavano qualche grammo a Verona a 100.000 a pezzo, se ne facevano metà, e la metà rimanente la tagliavano con la mannite recuperare il peso originario, e la rivendevano a prezzo maggiorato.
Verona era la città col più altro numero di tossici del Veneto.
Furti e prostituzione…….neanche parlarne, con tutta l’eroina che girava.
Dunque la situazione eroina a Verona in quegli anni era molto pesante.
Questo comportava anche molte persone con l’epatite B (era prima dell’epidemia di HIV) e tanti che finivano al pronto soccorso di Borgo Trento per collassi da overdose.
Questa era la situazione in cui si muoveva il Sert ed il primo centro antidroga.
Il Sert ha fatto molto, ha cercato di fare, ed in molti casi è riuscito ad affrancare la gente dalla schiavitù del Brown Sugar.
Se dovessi fare un paragone col passato, direi che il Sert e i vari centri antidroga cattolici e laici hanno cercato di fare come gli ordini mercedari dei secoli passati, il cui scopo era l’affrancamento degli schiavi rapiti dai musulmani.
I calunniatori del Fatto fanno doppiamente schifo.
Bisogna avere l’anima nera per rimestare così nel torbido.
Invece di cercare di aiutare i ragazzi che cadono nella schiavitù della droga…….ma che vadano a mori’ ammazzati, va’ !!!!!!!!!!!!
Il Fatto, un giornale-iena alla disperata ricerca di cadaveri, seguendo la massima di Voltaire “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”.
Chissà, al Fatto-Q accetterebbero di fare l’antidoping?
Chi, i produttori stessi della droga?