Sfidare al massimo la libertà dei giovani. Questo è educare

Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Caro padre Aldo, come sai, in questi ultimi mesi sono molto preoccupato per la situazione in Sud America, e nel mondo in generale, per questa specie di “nichilismo incarnato” il quale, nel nostro caro Paraguay, sebbene non con la stessa violenza o la stessa forma che in Cile o in altri luoghi, ma ideologicamente con la stessa potenza nella quale la mentalità che domina comincia ad arrivare al midollo di ciò che è più prezioso nella nostra società, la gioventù, inizia a mostrare i suoi artigli anche in una società come la nostra.

Così quest’anno mi ha provocato a rispondere con maggior attenzione alla domanda “come educare oggi?”. Don Luigi Giussani ci educò sempre al valore delle vacanze, per cui ho impiegato molte energie nella preparazione di questo gesto. La prima cosa che ho nel cuore è che questo gesto sia un segno di comunione e di generazione comune, non una semplice intuizione o un’iniziativa personale. Per questo la proposta, fin dalla sua origine, è che l’organizzazione non passi solo da me, ma da una comunione con quelli che hanno la stessa sensibilità e la stessa preoccupazione che ho io. Così, nel dialogo con altri professori, abbiamo deciso di includere in questa vacanza un pellegrinaggio a un luogo significativo del Sud America: il Santuario della Vergine di Lujan, vicino a Buenos Aires.

Durante il viaggio (26 ore di autobus) una ragazza mi ha detto: «Mia madre ci obbliga a pregare. Credo che questo abbia causato in me un effetto di resistenza alla mia percezione della Chiesa, come posso sapere che tu non mi vuoi indottrinare?». La sua domanda mi ha risvegliato in quanto l’indottrinamento giovanile è forse il problema più grave, con cui le diverse ideologie si manifestano in maniera “attrattiva” verso la nostra gioventù, proponendo un’idea di libertà intesa come “assenza di legami”, la cui prima debolezza è l’intendere l’“autorità” come un nemico del desiderio umano. Perciò i giovani si identificano molto, per esempio, nella proposta di rivoluzione degli anni Sessanta. In realtà la domanda di questa ragazza era più diretta come “segno” di questa ideologia, un ultimo sospetto che esista qualcuno o una persona che scommetta per una libertà in atto, per cui la vita possa essere guardata con la positività del desiderio e non come un nemico della condizione umana.

Nella mia percezione, la carenza educativa passa consegnando gli strumenti perché questi ragazzi possano avere un criterio. In questo senso anche per seguire un’esperienza cristiana relativamente sana, dove l’esperienza non sia una morale, ma un’esperienza, una vita. Io voglio educare, non indottrinare! Che i ragazzi abbiano gli strumenti per essere liberi e liberi per davvero. Tutti gli incontri preparativi con i giovani per questa vacanza sono stati dedicati a cercare di rispondere a questa domanda, per comprendere come stare in maniera giusta nel mondo e, secondo e più importante, che Cristo pretende e mendica di essere quell’orizzonte ultimo nel quale il desiderio umano incontra corrispondenza.

Primo: sfidare al massimo la libertà dei giovani. Sei mesi di preparazione con incontri e lavoro per mettere insieme il denaro, così la vacanza e il pellegrinaggio sono una parte “di” e non fini a se stessi. Poi, nei giorni passati insieme, testimonianze, incontri culturali, canti e giochi, anche molti momenti di conversazione e un giorno completo dedicato a camminare verso la casa della Vergine, hanno contribuito a sperimentare il valore di una Presenza che pretende di essere un cammino nell’intento di educare.

Tornare a fidarsi dell’autorità come una forma più bella di essere liberi. Come diceva un ragazzo, «ho imparato moltissimo e in questa occasione ho deciso di obbedire e realmente non credevo che obbedendo uno potesse sentirsi tanto libero». Dare la possibilità di vivere le cose senza censurare nulla, come diceva una giovane: «Sono venuta al pellegrinaggio poiché ci sarebbe stato anche il ragazzo che mi piace. Oltre a questo all’inizio di questo viaggio non vedevo niente di speciale, mi riferisco a quando siamo arrivati. Con il passare dei giorni e gli incontri non vedevo una cosa grande, inoltre poiché viaggiavo sola per la prima volta, con molti altri giovani: forse per questo mi sentivo disorientata rispetto a quello che sentivo, ho letto e visto in questi giorni. Finché durante la camminata verso il Santuario della Vergine di Lujan, tra la fatica e il fango, mi hanno preso la mano, mi hanno spinta e mi hanno detto: camminiamo insieme. Ho sentito una grande commozione, una felicità e un desiderio di appartenere».

Queste due testimonianze sono state per me la grande verifica del metodo educativo che abbiamo ricevuto da don Giussani. Giorni di possibilità perché i ragazzi potessero verificare nella loro esperienza, dentro una vita guidata, la bellezza di stare insieme, in modo che l’amicizia sia un aiuto al riconoscimento dell’“infinito fatto carne” che accade anche attraverso la fragilità di un’amicizia. Cristo risorto che si presenta così non come un rivoluzionario o un agitatore sociale, ma come “La” risposta al cuore dell’uomo, come diceva il titolo dei giorni passati insieme: «C’è un’avventura più affascinante che incontrare “La” risposta? Vieni e vedi».

P. Patricio

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Per scrivere a padre Aldo Trento: paldo.trento@gmail.com

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