Siria. Per i falchi Usa il problema non è fare la guerra, ma farla con “Obama il tentenna”

Di Redazione
11 Settembre 2013
I repubblicani che sostennero la guerra in Iraq sono spaventati dalla scarsa chiarezza sull'intervento armato contro Assad. Sempre più incerto il voto al Senato e al Congresso sulla missione

Che cosa sarà l’attacco in Siria? Secondo il segretario di Stato americano, John Kerry, «non un’azione militare di lunga durata», «non una guerra in senso classico», «non come l’Iraq». Risposte ritenute poco adeguate dai membri del Senato degli Stati Uniti chiamati ad autorizzare il presidente Barack Obama all’uso della forza in Siria (decisione, per ora, differita). E il voto al Congresso, sostengono gli esperti americani, potrebbe rappresentare una delle più grandi sconfitte politiche per Obama.

IL PRESIDENTE TENTENNA. «Chiaramente non è in gioco un rischio per la sicurezza nazionale». Motivo per cui anche il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, ha dichiarato l’intenzione di votare contro la risoluzione che autorizza Obama all’intervento militare in Siria. McConnell non è un pacifista. Aveva votato a favore della guerra contro Saddam Hussein. Dieci anni dopo, non ritrova gli stessi presupposti per un intervento contro il regime di Bashar al-Assad. La questione di fondo non è tanto l’intervento militare in sé, ma i tentennamenti del Comandante in Capo, Obama, e della sua amministrazione, che invece di spiegare in cosa consista l’attacco in Siria «è più interessata a spiegare che cosa non è». Un’obiezione ripresa da altri senatori repubblicani. Ciò dimostra, prosegue McConnell, che «non si può costruire la politica estera solo sulla denigrazione del proprio predecessore», come ha fatto Obama, denunciando le “guerre stupide” di Bush, e poi trovandosi a chiedere una copertura politica ai sostenitori di quelle azioni militari per una nuova guerra.

OBAMA SCONTENTA TUTTI. Il presidente democratico ora si trova in palese difficoltà. E forse da questo derivano i suoi tentennamenti. «Non c’è chiarezza, non si capisce qual è l’obiettivo», ha rincarato il senatore repubblicano John Abney Culberson: «La posizione del presidente è così traballante e incerta che non sono nemmeno sicuro di sapere cosa sta cercando di fare». I democratici fedeli ad Obama sulla questione siriana cercano di far apparire i tentennamenti del presidente come l’esito di una riflessione intensa. Come un saggio ponderare tra i pro e i contro di un intervento militare. Il guerriero riluttante, lo ha definito romanticamente il settimanale Time due settimane fa. Le cose, però, in politica estera non si affrontano così, sostengono i repubblicani. Anche quelli che, come John McCain, da anni chiedono al presidente un intervento massiccio per rovesciare il regime di Bashar al-Assad, e che da ultimo hanno approvato il piano di Obama, sostengono che non sia abbastanza per raggiungere un obiettivo concreto.

SORPASSO RUSSO. E dal momento che alla rivoluzione, inizialmente laica, si è sostituita quella jihadista, inquinata dalla massiccia presenza di terroristi venuti da ogni parte del mondo, più determinati, più addestrati e meglio armati dei democratici dissidenti, anche all’esercito, all’intelligence, ai conservatori più “guerrafondai” è parsa fin troppo tardiva e inutile la mossa di Obama. Meglio lasciare le cose come stanno, scrisse in un cinico editoriale del New York Times il conservatore Edward Luttwak. Oggi, mentre Obama e Kerry fanno a gara a chi ridimensiona meglio lo strike, sempre più eventuale, «sorprendentemente breve» (Obama) e «incredibilmente piccolo e limitato» (Kerry), è la Russia di Putin a prendere in mano la questione siriana e battere sul tempo gli Stati Uniti.

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