
Solo la Bce fa politica, tutti gli altri si fanno la guerra. Tanti auguri Europa

La misura della Bce che consiglia alle banche di non distribuire dividendi, buona o cattiva che sia, sta a dire una cosa ben precisa: che in Europa al momento c’è solo una istituzione in grado di fare politica economica, ed è la banca centrale.
E qui sta un pezzo del problema: la politica monetaria è uno strumento della politica economica, uno strumento importante, persino fondamentale, ma è solo uno di essi. E come spiegherò poi, se usata isolatamente può fare anche danni molto importanti.
Altro strumento è la politica fiscale, cioè l’uso del bilancio pubblico per creare o ridurre la domanda interna. Ma qui l’Europa è paralizzata, impotente.
Avere inchiodato la politica fiscale al 3 per cento del Pil e peggio in Italia avere introdotto in Costituzione, nel 2012, sotto Monti con una concordia parlamentare degna di miglior causa il dogma del pareggio di bilancio, ci ha semplicemente rovinato.
E già perché in una area valutaria ottimale, la cosiddetta Oca (optimal currency area), concetto elaborato dal premio Nobel Robert Mundell, devono operare alcune regole, sennò ci sono squilibri. Una di queste regole è che ci vuole un meccanismo di trasferimento dei fondi degli Stati perché chi ha surplus commerciali vada in aiuto delle regioni che incontrano difficoltà economiche. Questo impone che i contribuenti dei paesi ricchi paghino aiuti per quelli poveri.
La crisi europea del 2009 è stata vista dagli economisti seri come un prova della verità di questa teoria. È stata la mancanza di solidarietà europea che ha messo sotto stress tutta la struttura dell’euro e ha provocato la caduta della produzione italiana che, come dicevo in un altro intervento, ha perso in questi 20 anni qualcosa come 10 triliardi di Pil (0,5 triliardi per 20): si veda qui sotto il grafico sull’andamento del reddito reale pro capite dal 1980 al 2017 tra Italia e area euro.

Non è un caso che nel 2011 vennero emanati due regolamenti europei, il 1174 e il 1176, per stabilire che la bilancia commerciale venisse inserita nel quadro di controllo delle economie dell’eurozona, e che un avanzo triennale medio superiore al 6 per cento è segno di squilibrio.

Ora, guardate i grafici e capirete tutto. All’Italia han dato bastonate per questa storia del pareggio di bilancio, ma ai cosiddetti paesi del Nord non hanno mai detto veramente nulla per la scandalosa serie di avanzi commerciali fatti negli ultimi 20 anni.

Eh sì, il giochino va avanti, e crescentemente, da 20 anni. È come se ogni anno fosse stata combattuta una guerra in cui le regioni del Nord hanno massacrato quelle del Sud. Dico regioni e non Stati, perché l’euro ha spaccato gli Stati, e segnatamente l’Italia, come non è mai accaduto dall’unità, tra Nord e Sud. Con il Nord Italia che ormai fa parte della catena del valore germanica, al punto che il triangolo industriale si è girato verso est, da Milano, Genova, Torino a Milano, Bologna, Bolzano.

Quando si parla di bisogno di una Costituzione europea si allude esattamente a questo. Alla necessità di uno strumento che vincoli giuridicamente i popoli europei. Ma per fare le Costituzioni ci vogliono le nazioni. Ci vuole cioè una unità che ha aspetti storici, culturali, linguistici, religiosi, artistici. Ci vuole una guerra fatta fianco a fianco. Esattamente quello che non c’è in Europa. Il Nord è stato già avvinto, e abbastanza bene al mondo germanico: lo ha fatto dal 1706 al 1866, mica poco. Ma il Sud era un’altra cosa. Ora se è remotamente immaginabile, ma di certo non probabile, che un bavarese paghi tasse che finiscono a Milano, vedo impossibile che le paghi per farle andare a Napoli o a Palermo. Mentre i bergamaschi e persino i veneti bestemmiando i soldi per il Sud li pagano…
Quindi di cosa stiamo parlando?
Stiamo parlando di ricorrere all’altra regola dell’Oca: il movimento delle persone. Se i soldi non vanno alle persone, le persone vanno ai soldi. Movimenti di masse dal Sud al Nord, dalla periferia al centro. Non è questa la chiave della rinascita milanese? Ma se venire a Milano per un giovane del Sud è ancora abbastanza facile, andare a Düsseldorf lo è un po’ meno… E non basta sentirsi europei. È un concetto troppo freddo. Mentre un cittadino di Pittsburgh colpito dalla crisi dell’acciaio poteva andare in Texas o in California sentendosi a casa, un tarantino che vada a lavorare ad Amsterdam o ad Amburgo non prova esattamente la stessa cosa.
Di qui il progetto pazzotico degli Erasmus, delle università dove si insegna con un inglese povero e maccheronico, perdendo la bellezza della nostra lingua, il mito dell’Europa propagandato in ogni dove, la svirilizzazione delle differenze – pensiamo a quelle alimentari – operata da una legislazione minuta e ossessiva. Tutto per lenire la sofferenza di questa inevitabile migrazione dalla periferia al centro.
Ma ci vogliono due generazioni. E nel frattempo, come mangia il popolo?
Chiarito che ci vuole una politica fiscale europea – esattamente quella su cui l’Europa sta ora saltando – torniamo alla politica monetaria.
Senza politica fiscale che favorisca la domanda interna si va in deflazione. I prezzi – cioè per esser chiari i salari, mica solo il pane o il burro – scendono, il che va bene per le esportazioni (vedi sopra), ma ne soffrono i risparmiatori e le banche che non hanno più margini di interesse. E così la politica monetaria accomodante si ritorce contro sé stessa, in una meravigliosa nemesi. E in fondo questa misura, dal retrogusto populista, di inibire la distribuzione dei dividendi alle banche non è una misura contro di loro, contro la loro capacità di raccogliere capitale?
Se non fosse che è una tragedia giocata sulla nostra pelle, ci sarebbe da mettersi comodi, coi popcorn, a godersi lo spettacolo. Lo spettacolo delle contorsioni di un progetto grandioso dai piedi di argilla.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!