
Sotto il vulcano
Gaza. “Le armi sono nei nostri cromosomi. Le abbiamo sempre avute. I nostri militanti militari e civili non hanno mai smesso di addestrarsi. L’Intifada è ancora il modo migliore per combattere l’occupazione israeliana, ma se sarà necessario passare ad una nuova fase siamo pronti a farlo”. Sono passate 48 ore dall’accordo Peres-Arafat per l’avvio di una nuova fase dei negoziati di pace. Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Ehud Barak stanno per recarsi a Washington per incontrare Clinton e avviare (forse) una nuova fase del negoziato. Nell’ufficio di Fatah a Gaza gli accordi internazionali sono lontani anni luce. Ahmad Helles, 49 anni, segretario generale dell’organizzazione politica di Arafat parla un linguaggio totalmente diverso dal suo capo. L’impressione è quella di una continua divaricazione tra l’attività sul terreno e la grande politica. Gli accordi Arafat Peres, i vertici di Sharm el Sheik appaiono una sovrastruttura vuota, priva di ogni contatto con la realtà della rivolta. Ahmad Helles mi passa un volantino. È l’ultima risoluzione della direzione strategica dell’Intifada, il cosiddetto Comitato delle Organizzazioni Islamiche nazionaliste. Sconosciuto fino a un mese fa, questo organismo, composto dai rappresentanti di Fatah, Hamas, della Jihad Islamica e di altre nove organizzazioni palestinesi è il demiurgo delle operazioni sul terreno. Ahmad Helles è uno dei suoi membri più influenti. “Intensificare l’attività sul terreno, continuare le manifestazioni, mantenere viva l’Intifada” si legge nel volantino.
Le vostre posizioni e quelle di Arafat si stanno divaricando?
“Io parlo a nome di Fatah. La nostra posizione riflette quella del popolo. Arafat è sotto pressione. È costretto a seguire ogni iniziativa di pace che gli viene proposta”
Quindi ci sono delle differenze?
“L’autorità palestinese non è soltanto Fatah. A volte andiamo d’accordo, a volte no”.
Arafat ha raggiunto un accordo con Peres a nome di tutti i palestinesi.
“Non era un accordo. Era un’intesa e si è già dissolta. L’esercito israeliano è qui, le uccisioni continuano. L’Intifada deve continuare. Non c’è speranza per il prossimo futuro”.
Siete pronti a tornare alla lotta armata?
“La nostra gente userà tutti i mezzi a disposizione. Abbiamo iniziato pacificamente, ma se Israele continuerà nell’escalation di violenza siamo pronti a tutto. Anche al ritorno alle armi”.
Nel comitato cui partecipate c’è già chi lo fa. Dopo l’intesa Peres-Arafat la Jihad Islamica ha messo una bomba a Gerusalemme uccidendo due civili israeliani. Avete detto qualcosa al suo rappresentante?
“Non entriamo mai nei dettagli della lotta. Ogni gruppo usa i mezzi che ritiene più utili”.
Non condannate gli attacchi terroristici?
“Ogni azione è frutto del circolo di violenza innestato da Israele. Chi uccide dei civili deve attendersi delle reazioni del genere. Vorremmo che l’Intifada restasse quella tradizionale, ma Israele spinge la nostra gente ad usare tutti i mezzi a disposizione. Alla fine ne pagherà le conseguenze”.
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