
Spagna, dopo la legge trans l’assassino si dichiara donna per avere pene ridotte

Cinque giorni dopo che le Isole Canarie hanno approvato una “legge trans” che riconosce l’autodeterminazione di genere, Jonathan de Jesús Robaina Santana si è dichiarato colpevole davanti alla giuria del Tribunale di Las Palmas dell’omicidio di sua cugina Vanesa. Ma ha anche detto di chiamarsi Lorena e come tale potrebbe scontare la sua pena in un penitenziario femminile.
In carcere c’è finito nel 2018: la sera del 4 giugno, indossati guanti, una giacca col cappuccio, afferrato un martello, una cintura e due coltelli, si è introdotto nell’appartamento della cugina addormentata, e qui ha iniziato a prenderla a martellate, con ferocia crescente dopo che la ragazza aveva cercato di proteggersi il volto chiedendo aiuto, continuando a colpirla fino alla morte e infierendo sul resto del corpo con violenza e brutalità estrema. Poi è tornato a casa, si è fatto la doccia, e ha buttato arnesi e vestiti nel cortile di una casa disabitata.
«Chiamatemi Lorena»
Vanesa Santana è stata trovata da mamma Sonia il giorno dopo, riversa in un lago di sangue, parzialmente avvolta in una coperta, la cintura al collo e sul corpo i segni di atti sessuali. Atti che avrebbero comportato una pena aggiuntiva di 16 anni smentiti dall’imputato al processo in corso in questi giorni a Gran Canaria con la seguente motivazione: «Sono una donna e non voglio stare con una ragazza, ma con un uomo».
Jonathan ha iniziato ad affermare di sentirsi donna dopo l’arresto come principale indiziato dell’omicidio, quando fu tradotto al carcere di Tahiche. Dove ha chiesto e ottenuto un trattamento differenziato in virtù del fatto che voleva cambiare genere: fino ad oggi l’uomo ha dunque potuto indossare abiti femminili, fare docce da solo, vivere “protetto” dagli altri detenuti. E il suo avvocato ha chiesto al presidente della Corte che durante tutte le udienze del processo ci si riferisse a lui come “Lorena“.
Il femminicida si dichiara donna
Per l’omicidio, aggravato da premeditazione, crudeltà e violenza di genere, di Vanesa, una ragazza di soli 21 anni, l’accusa ha chiesto 25 anni di carcere e un risarcimento pari a 280 mila euro alla famiglia della vittima. La difesa punta invece su una pena ridotta per semplice omicidio, un omicidio commesso in un momento di instabilità mentale da una persona che ora si identifica come donna e non da un brutale femminicida.
Il processo è iniziato il 31 maggio. Il 26 maggio le isole Canarie avevano approvato una legge che consente di modificare il proprio sesso all’anagrafe (dichiarandosi uomo, donna o non binario) a prescindere da qualunque perizia medica o psicologica. Si chiama “autodeterminazione di genere”, è già stata approvata da altre dieci regioni autonome della Spagna con pacchetto d’ordinanza: sanzioni a chi discrimina, osanna all’uguaglianza e ai diritti di transgender e Lgbtq tacendo delle conseguenze che norme del genere comporteranno per i minori, nell’ambito della sanità, del lavoro, dello sport e, appunto, del carcere.
La famiglia contro la Ley Trans
Conseguenze ben denunciate dalle femministe di tutta la Spagna, dove a livello centrale la Ley Trans promossa dalla ministra e pasionaria dell’Uguaglianza Irene Montero non è passata, affossata al Congresso dall’astensione del Psoe.
Proprio a Montero e agli alfieri della Ley Trans si è rivolta Nayara Alberto, cugina di Vanesa: «È ovvio che lei [Montero] e tutti politici che hanno contribuito a questa legge non hanno subito nulla di simile. (…) È un dolore che non auguro a nessuno e in quanto politici credo che dovrebbero mettersi nei panni del cittadino. Che lo vogliano o no, ci sono grazie a noi, non per colpa dello Spirito Santo».
«L’assassino si chiama Jonathan»
Nayara può dire a gran voce cose che non potrebbe dire nessun altro senza incorrere in accuse di transfobia. Ricorda che lei e i membri della sua famiglia «non siamo un esperimento sociale. Siamo persone con dentro un dolore irreparabile». E che il nome dell’assassino di Vanesa «è Jonathan, non Lorena. È sempre stato un molestatore di donne, ci sono le denunce sporte dalle ragazze che molestava su internet». «Mi fa rabbia che ora voglia usare la legge trans approfittandone come assassino».
Nessuno conosceva Lorena, tutti conoscevano Jonathan il macho, il mafioso, il ragazzo che aveva già puntato uno dei coltelli con cui girava abitualmente per il paese al collo di Vanesa, una ragazza buona che non poteva credere che il cugino sarebbe arrivato a farle del male. Nayara ricorda ai collettivi trans che la loro legge può essere usata da una persona malvagia per farla franca e non essere giudicata a dovere. E si chiede incredula come può essere messo un noto stalker, che ha gelidamente premeditato la morte di una ragazza, nelle condizioni di poter avanzare richiesta di entrare in un carcere femminile: «Ci sono già casi in altri paesi in cui questi uomini autoidentificati come donne hanno abusato delle detenute, incorrendo in nuove condanne. Cosa rende questo caso diverso? Nulla».
Trans verso il carcere femminile
È successo più di una volta in Inghilterra (il caso più famoso fu quello di Karen White, nato Stephen Wood, incarcerato per stupro e pedofilia in un carcere femminile dove ha aggredito sessualmente altre due detenute) e in Canada. È successo «che degli stupratori seriali, al momento della condanna, si dichiarassero transgender e venissero messi in carceri femminili dove hanno aggredito altre donne»: lo hanno ricordato Arcilesbica ai parlamentari di sinistra e M5s chiedendo modifiche al ddl Zan.
Ed è successo che in California, appena approvata una norma analoga, centinaia di trans, detenuti nelle carceri maschili, abbiano chiesto il trasferimento nelle prigioni femminili. Uomini, dunque, che si dichiarano donne, a prescindere dal fatto che abbiano completato la transizione di genere e a prescindere dal fatto che queste loro parole siano vere o meno.
Accuse al «femminismo transfobico»
La legge trans approvata pochi giorni fa alle Canarie non solleva Jonathan dall’attribuzione delle aggravanti a un delitto commesso nel 2018 (per questo la difesa sta cercando di far cadere le accuse di premeditazione insistendo sullo stato di «sofferenza» del suo assistito che avrebbe «annullato completamente le sue capacità cognitive e volitive» mentre uccideva Vanesa) né lo solleva dai suoi obblighi giuridici precedenti al cambio di genere all’anagrafe. Gli consente tuttavia di richiedere il trasferimento in un penitenziario femminile. E di pretendere che in tribunale avvocati e familiari dei Vanesa si rivolgano a lui come a una donna, cosa che genitori e fratello si sono rifiutati di fare denunciando un’ulteriore aggressione.
Secondo Zaida García, vicepresidente di Euforia, Colectivo de Familias Trans, è «irrispettoso» che un tribunale non si rivolga a Lorena come tale, e opporsi a un suo trasferimento in un carcere femminile (che García dà per scontato) è «femminismo transfobico».
Illecito dubitare di Lorena
Di più, grazie alla legge non è possibile chiedere a un transgender di dimostrare di essere tale: nessuno lo chiede a chi non è trans e farlo sarebbe discriminazione. Basta quindi solo una dichiarazione. Un pezzo di carta che renderebbe paradossalmente difficile se non impossibile per un tribunale mettere in discussione o ipotizzare che Jonathan stia mentendo per ottenere uno sconto sulla pena e scampare al trattamento che gli verrebbe riservato in un carcere maschile.
#EstoNoIbaAPasar, «questo non sarebbe successo»: su Twitter rimbalzano le parole della scrittrice femminista Lucía Etxebarria. Che in un lungo messaggio ha definito l’uso da parte di Jonathan della legge sull’identità di genere «un’aberrazione, una presa in giro del sistema e un insulto ai parenti di Vanesa». «Ci hanno chiamato donne transfobiche perché abbiamo detto che sarebbe successo, questo è il machismo più putrido, brutale e sconcertante travestito da femminismo. Questo è un insulto a tutte le donne che sono state uccise».
Dal ddl Zan al self-id
I solerti fact checking a guardia del ddl Zan che si affrettano a spiegare che qui non succederà, che il ddl Zal non regolamenta la transizione di genere (e che poi il numero di vittime transgender superi di gran lunga quello dei trans sospettati di violenze), si mettano d’accordo con i sostenitori del ddl Zan, che invocano la revisione della 164/82 per approdare al self-id.
E anche con se stessi: dopo aver brandito a sproposito il termine «violenze» riferendosi a chi usa in modo scorretto i pronomi o il deadnaming (uso del nome anagrafico al posto di quello “scelto”, tutte cose che il ddl Zan vuole trasformare in reato) potrebbero trovarsi a raccontare la storia di Vanesa. Una ragazza di 21 anni uccisa da qualcuno che non si può nemmeno chiamare per nome.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!