STATO LAICISTA, PERICOLO MORTALE

Di Stefano Morri
18 Novembre 2004
Nel mondo si fronteggiano due concezioni di laicità assai diverse.

Nel mondo si fronteggiano due concezioni di laicità assai diverse. C’è quella francese, per cui Stato laico vuol dire Stato in cui è proibita e negata ogni valenza pubblica alle identità. Ed in cui anzi, le identità, anche quando relegate nel privato, vanno combattute in nome di una religione di Stato – quest’ultimo essendo inteso come una sorta di “santuario della laicità” – che altro non è se non la sintesi dei valori che servono al potere ad autolegittimarsi. E poi c’è una concezione più anglosassone, o meglio, americana, per cui la laicità dello Stato coincide con un sistema di regole che consentono la convivenza e, si potrebbe dire, la competizione delle diverse identità. L’America ha sviluppato questa concezione di laicità ereditando il meglio di un pensiero religioso e politico liberale europeo non rovinato dall’hegelismo. In questo modello, le identità non solo non sono state negate ma sono divenute un fattore di ricchezza e sviluppo della società perché portatrici di un senso che lo Stato non vuole e non può dare. E lo Stato non ha paura di ammettere che i suoi valori fondanti sono altro da sé. (l’omaggio alla bandiera, su cui tanto dileggio europeo cade, è in verità nient’altro che l’omaggio alla casa, alla koinè, ove questa libertà è possibile).
Il primo tipo di Stato è la versione moderna dello Stato etico e dunque dello Stato totalitario. La sua fobia per la religione non è altro che il riflesso di una repulsione più profonda per la libertà della persona, che è libertà di perseguire la felicità e le comunanze che vuole allo scopo di reggere la fatica del vivere. è dunque uno Stato che indebolisce i suoi cittadini, li svirilizza, e indebolisce se stesso.
Il secondo modello, invece, è il tentativo di assicurare la reale convivenza tra libertà e identità traendo linfa dal loro confronto. Non è un caso che negli Stati Uniti sia sopravvissuta all’ondata di secolarizzazione una società che, con tutti i suoi limiti, errori, approssimazioni, ha mantenuto la capacità di opporsi strategicamente e militarmente ai suoi nemici. L’omicidio di Theo Van Gogh fa emergere questa dialettica tra Stato laico e Stato laicista. Notiamo che subito l’informazione dominante ha utilizzato certi episodi di violenta reazione popolare all’omicidio del regista per distogliere l’opinione pubblica dal nocciolo della questione, agitando lo spauracchio dell’intolleranza anti-islamica. Ma questo è solo fumo negli occhi. Questo omicidio è un formidabile atto di accusa contro la concezione dello Stato laicista (di cui il multiculturalismo non è che una variante “furba”) che ha dominato in Olanda, negli ultimi cinquant’anni. E richiama l’Occidente ad interrogarsi come mai non abbia più la forza morale di opporsi all’avanzare di un pensiero e di una prassi che sono per esso, per i suoi princìpi fondamentali, un pericolo mortale. Le Chiese in particolare dovrebbero smettere di chiedere allo Stato vantaggi per sé, opponendo al clericalismo laicista di Stato il proprio sempre più flebile clericalismo religioso. Dovrebbero piuttosto chiedere, ed esigere, vantaggi per tutte le identità. Ad esempio, dovrebbero piantare il chiodo di una ostinata pretesa sul tema della libertà di educazione, financo minacciando la lotta civile, onde assicurare a tutti l’agibilità di spazi educativi che siano liberi sul piano identitario, pur nel rispetto di alcuni princìpi fondamentali fondanti le nostre convivenze. Infatti, se ciò che sta accadendo e che accadrà metterà in crisi da sé il sogno occidentale di una società liscia e vellutata come le gambe di una bella donna, è vitale che le giovani generazioni vengano aiutate a ritrovare una via diversa, e questo può essere fatto solo da un’educazione libera.

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