
Suicidio assistito per «migliorare la vita degli altri»

«Gli abitanti dell’Ontario che optano per l’assistenza medica al suicidio (MAiD) stanno salvando o migliorando sempre di più la vita degli altri, includendo anche la donazione di organi e tessuti nelle loro ultime volontà». Al netto dei fronzoli, il quotidiano Ottawa Citizen spiega chiaramente che la nuova frontiera del suicidio assistito in Canada è la fornitura di pezzi di ricambio per la società.
Nei primi 11 mesi del 2019 (i dati di dicembre non sono ancora disponibili), tra i pazienti che hanno fatto ricorso al MAiD nella provincia si contano 18 donatori di organi e 95 donatori di tessuti, un aumento del 14 per cento rispetto al 2018 e un aumento del 109 per cento rispetto al 2017. Secondo la rete Trillium Gift of Life, che sovrintende alla donazione di organi e tessuti in Ontario, queste 113 donazioni “da MAiD” nel 2019 hanno rappresentato il 5 per cento delle donazioni complessive in Ontario: nel 2018 erano il 3,6 per cento e nel 2017 “solo” il 2,1 per cento. Ma, in una provincia che conta 1.600 persone in lista di attesa per un trapianto di organo o tessuto, puntano a diventare molte di più.
DALLA QUALITÀ DELLA VITA A QUELLA DEGLI ORGANI
Da quando, nel 2016, il Canada ha depenalizzato il suicidio medicalmente assistito equiparandolo a un atto medico pari a quello di fornire terapie o cure palliative, l’Ontario è diventato la provincia più attiva nel contattare chiunque venga ammesso al protocollo MAiD per discutere la possibilità di donare gli organi: quando una morte è imminente o programmata, per legge bisogna informare Trillium.
I malati di cancro (che secondo un rapporto del Canadian Blood Services del 2018 rappresentano il 57 per cento di chi si rivolge al MAiD in Canada) non possono donare organi. In base alle leggi attuali poi il donatore deve morire in ospedale e non a casa, dove è possibile recuperare in seguito al decesso solo i tessuti, occhi, valvole cardiache, tendini e pelle.
MORIRE A CASA NON È PIÙ IMPORTANTE
Le cose stanno prendendo però una piega diversa, spiega a Ottawa Citizen il dottor Andrew Healey, chief medical officer of donation di Trillium, perché molti pazienti che scelgono la morte assistita hanno capito che la donazione deve avere una priorità sul luogo scelto per il decesso: dopo aver parlato con loro «morire a casa non era più importante quanto aiutare altre persone».
Non solo col consenso informato previsto dal MAid i malati liberano le famiglie dall’incombenza di prendere decisioni sulla vita e il destino degli organi altrui, ma grazie a sentenze come quella approvata a settembre in Quebec – che ha stabilito che i requisiti della legge per avere accesso all’eutanasia (essere affetti da una malattia incurabile per la quale «la morte naturale è ragionevolmente prevedibile») sono discriminatori e ha consentito a Nicole Gladu e Jean Truchon, due cittadini che non sono in fin di vita, di avvalersi dell’assistenza medica al suicidio anche in assenza di una revisione del testo legislativo – discutere di “death by organ donation”, cioè di suicidio altruistico per donare organi a persone bisognose di trapianto diventa molto più facile.
«COSÌ SI LASCIA UN’EREDITÀ»
Nei primi sei mesi del 2019 i medici dell’Ontario hanno ucciso oltre 700 persone, 774 per l’esattezza (dati pubblicati a luglio dall’ufficio del Chief Coroner; se il trend è confermato, l’Ontario potrebbe superare il record già infelice di decessi assistiti rilevati nel 2018: 1.499 casi contro gli 841 del 2017 e i 189 del 2016). Persone come Heather Janack, che a luglio ha optato per la morte assistita e la donazione di organi dopo lunghi anni in dialisi:
«Pensavo che la certezza di autodeterminarmi grazie al MAiD fosse confortante, ma, da quando si è aggiunta la possibilità di donare un organo sono diventata euforica. È così eccitante sapere che posso alleviare la sofferenza di qualcuno in una lista d’attesa».
Una scelta tutt’altro che atipica tra gli aspiranti suicidi, assicura Ronnie Gavsie, amministratore delegato di Trillium:
«Non solo ora i pazienti possono morire dignitosamente e quando vogliono, ma possono anche lasciare un’eredità».
LA NUOVA MORTE PER “RIMOZIONE DI ORGANI”
“Eredità”: ecco il concetto chiave per far digerire all’opinione pubblica le nuove linee guida sul prelievo degli organi emanate lo scorso 3 giugno dall’Associazione medica canadese. Molti medici hanno criticato la direttiva secondo cui la rimozione dell’organo non possa avvenire prima che il cuore abbia smesso di battere. «Un modello superiore – suggeriscono sul New England Journal of Medicine due ricercatori medici canadesi e un bioeticista di Harvard, proposta già avanzata anni fa dal canadese Walter Glennon – potrebbe essere quello di uccidere il paziente rimuovendone gli organi. Dopo tutto, i migliori organi provengono da persone ancora vive, come quelle che donano i reni. La morte per rimozione di organi sarebbe un metodo più efficiente di prelievo di organi per pazienti da suicidio assistito».
In Olanda e Belgio i donatori di organi da eutanasia sono già decine e la proposta di eseguire la procedura quando il paziente “morituro” è ancora vivo, «causandone così la morte», trova un solo ostacolo: per permettere l’espianto è necessario che gli ultimi momenti di vita del paziente vengano trascorsi in ospedale, concetto difficile da far passare dopo anni impiegati a promuovere come postulato di una morte dignitosa l’eutanasia fai da te, in casa propria e tra i propri famigliari.
LA DISTOPIA DI WIJKMARK
Lo svedese Carl-Henning Wijkmark terminava il suo romanzo La morte moderna immaginando che un giorno la morte sarebbe diventata «produttiva», coi morituri inseriti in un programma di riciclo «per la creazione di medicinali, concimi e mangimi». Oggi in Ontario chiunque desideri l’eutanasia è considerato un potenziale, utilissimo donatore. Ma come nel libro distopico, per disporre dei suoi preziosi organi occorre trovare una strategia comunicativa che non presenti più l’eutanasia solo come l’ordinaria, ovvia e naturale conclusione dell’esistenza. Ecco allora la possibilità di lasciare un’eredità, iscrivere lo scopo dell’esistenza nel mondo immanente dove «il concetto di qualità della vita» sia interpretato «nel senso che vite diverse hanno diverso valore. Il valore di una vita dev’essere calcolato in primo luogo in termini economici e sociali». Ecco che il «vecchio tabù che si chiama rispetto della vita umana» lascia il posto al principio secondo il quale è possibile valere di più da morti che da vivi.
SI VALE PIÙ DA MORTI CHE DA VIVI
In una società che considera l’uccisione una risposta alla sofferenza umana, la soppressione di un malato un atto compassionevole e misericordioso, nonché un fattore di sviluppo sostenibile (accade a Seattle, dove l’azienda di pompe funebri Recompose promette di smaltire i defunti in modo “ecologicamente equo”, calcolando «un risparmio di una tonnellata di carbonio per persona»), la morte diventa produttiva, una miniera d’oro e di pezzi di ricambio per la società dei sani. L’importante è che se ne parli come di una morte non più solo “dolce”, “buona”, “dignitosa”, “assistita”, bensì ora anche “altruistica”.
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