Suicidio assistito. Zaia e Fedriga, cosa combinate?

Lettera aperta ai due presidenti di Regione che vogliono una legge regionale sul “suicidio assistito”. Farebbero bene a seguire quanto detto dalla Conferenza Episcopale Triveneta

Il presidente del Veneto, Luca Zaia, e il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, 29 settembre 2022 (Ansa)

Nella mia qualità di vice-presidente dell’Associazione NONNI2.0, vorrei rivolgermi ai presidenti della Regione Friuli Venezia Giulia e della Regione Veneto per porre loro alcune domande relative alla loro scelta politica, grave e drammatica, di affrettare, in una mortifera gara di velocità con altre Regioni, l’approvazione di una legge regionale che permetta il ricorso a quello che, con macabra espressione, viene indicato come “suicidio assistito”.

La prima domanda è molto semplice: ma perché questa fretta? Perché, proprio in questo periodo in cui appare all’orizzonte lo spettro di una vera e propria guerra mondiale, due Regioni storicamente nobili e civili come quelle qui indicate si buttano in una battaglia che contraddice il sentimento comune che guarda alla tutela della vita e non all’accelerazione della morte? Perché i due presidenti di queste Regioni disprezzano così pervicacemente le intenzioni con le quali il loro popolo li ha eletti? Perché improvvisamente sembrano avere perso ogni buon senso ed ogni pudore? Perché questa corsa a volere abbracciare acriticamente il punto di vista di una cultura che, in nome della libertà, si è specializzata in battaglie che parlano solo di morte? Rimane per me un mistero questo improvviso voltafaccia dei due presidenti rispetto ad una cultura e ad una tradizione che mettevano (e mettono) al primo posto la tutela della vita.

Tra l’altro, con queste incomprensibili iniziative, si vogliono percorrere strade che portano diritte nel campo della illegittimità, essendo del tutto evidente che le Regioni non hanno alcuna competenza a legiferare in tema di vita e di morte, rispetto ad una materia regolata dal diritto penale. Ma allora, anche qui: perché percorrere una strada così contraria allo stesso diritto? Evidentemente, solo per affermare comunque e ideologicamente una posizione indipendentemente dal suo esito finale, il che è ancora più grave, perché i presidenti delle Regioni dovrebbero innanzi tutto preoccuparsi di fare funzionare la sanità e non di brigare perché una vita sia spenta prima del tempo.

Ringrazio caldamente i Vescovi della Conferenza Episcopale Triveneto, i quali, con grande equilibrio, hanno chiaramente detto no a quanto sta accadendo nelle due Regioni, con motivazioni di alto livello sia sul versante civile che su quello religioso. In particolare, essi hanno negato che il ricorso al suicidio sia una “conquista di libertà”. Infatti, sarebbe ora di capire che libertà non significa fare qualsiasi cosa o fare tutto ciò che si vuole. Dovrebbe finalmente essere chiaro che il primo compito della libertà è quello di battersi per la tutela incondizionata di ogni forma di vita umana: l’alternativa è la barbarie. L’alternativa è tornare indietro di duemila anni. In questo senso, è sacrosanto il richiamo alla “ecologia integrale”, che comporta il rispetto di ogni vita umana, e in particolare della vita di chi soffre e di chi si trova in situazioni di debolezza.

I Vescovi del Triveneto usano una espressione molto efficace nella sua sinteticità: “Il paziente inguaribile non è mai incurabile”. Queste parole stanno diventando sempre più vere e realistiche se si pensa agli immensi progressi avvenuti nel campo delle medicine e delle cure. Comunque, esse pescano nella verità più profonda che riguarda ogni uomo e ogni donna, verità che sfugge ai tifosi del suicidio assistito. E questa verità sta nel fatto che ognuno di noi è prezioso ed ha un valore incalcolabile anche quando è ammalato, cioè bisognoso di ogni “cura” umana compassionevole, prima ancora che di medicine. Amare l’ammalato è esattamente l’opposto del condurlo anticipatamente alla morte, convincendolo di essere oramai diventato “inutile”. Inutile e deleterio, invece, è proprio il tentativo di togliersi il fastidio del dovere “curare”, aiutando l’ammalato a scomparire. Perché i presidenti di queste Regioni non si impegnano ad aumentare gli investimenti per le cure palliative (cosa che una legge nazionale prevede espressamente), invece che facilitare l’anticipazione della fine attraverso un passaggio che l’umanità ha sempre considerato il massimo della sconfitta umana?

Perché, Presidenti, non date retta a quanto scritto, con tanta saggezza, dai Vescovi del Triveneto? Avreste molto da imparare, in buonsenso politico ed in umanità.

Vorrei che i presidenti sapessero che la loro attuale azione su questo tema viene vista con grande incredulità proprio da parte di quel popolo che è più vicino a loro. Perché il popolo sa benissimo che, se dovesse passare la legge sul suicidio assistito, cadrebbe un altro baluardo che tutela la nobiltà di una intera società. Cadrebbe, cioè, il baluardo della “compassione” con la quale dobbiamo accompagnare le vicende umane, soprattutto nei momenti di difficoltà e di debolezza. Solo un gioco di parole ideologico può far passare per “compassione” l’accompagnamento anticipato alla morte, soprattutto nella forma inumana del suicidio.

In particolare, come “nonni” chiediamo ai presidenti di recedere da questa loro insana intenzione, anche perché l’età dei nonni non gioca a nostro favore, visti i tempi e le minacce. Presidenti, giù le mani dai nonni: sia quelli sani che quelli ammalati.

Peppino Zola

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