Sulla pelle del popolo

Di Gian Micalessin
03 Novembre 2000
Barak chiude a Sharon e, in attesa delle presidenziali Usa, lascia aperto l’ultimo flebile spiraglio di trattativa con Arafat.Ma sul fronte palestinese l’islamismo radicale soffia sul fuoco dell’odio e del terrorismo

Sul fronte politico la nube minacciosa di un governo israeliano di unità nazionale sembra dissolta. Su quello militare aleggia lo spettro del terrorismo. E questo il clima previsto in Israele e nei territori occupati per il prossimo novembre. Lunedì scorso il leader del Likud Ariel Sharon ha definitivamente chiuso la porta in faccia al primo ministro israeliano Ehud Barak. Barak da settimane cercava di convincerlo ad entrare in un governo di unità nazionale. La prospettiva non era incoraggiante. Con un Sharon nell’esecutivo anche l’ultimo lumicino di possibile negoziato si sarebbe spento. Barak era anche disposto ad accettare. Con l’entrata in gioco di Sharon avrebbe avuto i numeri per allontanare la prospettiva di elezioni anticipate e garantirsi un futuro politico. Ma seppur ambizioso e coriaceo Barak non poteva far a meno di ascoltare l’alleato americano. Da Washington un Clinton a fine mandato continua nel tentativo di tramandare ai posteri l’immagine di pacificatore del Medio Oriente. Alla Casa Bianca l’idea di un Barak che abdica ai principi di Camp David in nome della propria sopravvivenza politica non veniva digerita bene. E per un governo di emergenza la sopravvivenza economica in tempo di guerra senza l’aiuto americano sarebbe stata immensamente difficile. Così Barak alla fine ha dovuto fare quattro conti piegarsi. Entrato nella fase finale della trattativa ha dovuto ricordare a Sharon che, comunque, lui non abdicava e restava ancora convinto della possibilità di riprendere il negoziato di pace. Sharon allora ha fatto l’unica cosa che poteva fare un falco come lui. Ha salutato tutti, è salito alla Knesset e ha ricordat, i principi di Camp David sono inaccettabili. Se continueremo a scambiare terra per pace finiremo con il farci sparare addosso dalle mura di Gerusalemme”. Dunque ora Washinton può ancora sperare di riportare intorno ad un tavolo Arafat e Barak. Ma tra il dire e il fare c‚è di mezzo la continua escalation nel livello di scontro tra palestinesi e israeliani. Alcune tra le fazioni più estremiste del campo palestinese sembrano decise a rispondere con il terrore ai carri armati. Nel giro di tre giorni quattro israeliani sono caduti sotto il fuoco di misteriosi gruppi armati. È iniziato tutto a Ramallah dove un giovane israeliano, forse implicato in affari non troppo puliti, è stato ritrovato orrendamente mutilato e bruciato. Poi è stata la volta di un giovane ortodosso ucciso a pugnalate alla periferia di Gerusalemme. Infine, lunedì mattina, un gruppo armato ha aperto il fuoco contro due guardie giurate israeliane all’entrata di un ufficio della previdenza sociale nel cuore di Gerusalemme est. Nel frattempo i portavoce dell’esercito israeliano annunciano di star mettendo a punto dei gruppi di commandos per colpire i militanti armati di Tanzim all’interno dei territori palestinesi. Nel frastuono dei fucili la voce della trattativa sembra farsi sempre più esile.

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