Svezia, «come si fa a vivere qui se i bambini rischiano un proiettile al parco giochi?»

Di Caterina Giojelli
15 Settembre 2022
C'è chi iscrive la parabola dei nazionalisti, decisivi per la vittoria alle elezioni, nel solco delle destre europee, ma il paradiso umanitario dell'Ue è diventato un inferno di ghetti, gang e sparatorie da cui i progressisti non sanno come uscire

«Pensateci due volte prima di definire i successi elettorali dei nazionalisti e anti-immigrati Democratici svedesi una pericolosa svolta nella politica svedese ed europea. La democrazia e lo Stato di diritto in Svezia non sono a rischio. Né lo sono i passi decisivi del Paese a favore della piena integrazione nelle strutture di sicurezza transatlantiche». Alla vigilia della vittoria della coalizione di destra, il Financial Times era tornato sul successo di Sverigedemokraterna (Democratici svedesi), il partito “dei sobborghi” nel Regno di Svezia dove il centrosinistra resisteva solo nelle grandi città, Stoccolma, Göteborg e Malmö.

C’è chi ha iscritto la parabola del partito di Jimmie Åkesson (miglior risultato da quando hanno vinto per la prima volta un seggio in parlamento nel 2010) nel solco delle destre nazionaliste europee e della polarizzazione, eppure Åkesson ha condannato l’invasione dell’Ucraina («Oggi la Russia è poco meno di una dittatura a tutti gli effetti»), il partito ha abbandonato le vecchie ostilità all’adesione alla Ue e democrazia e stato di diritto restano solidi, cosa che secondo il giornale dell’establishment finanziario europeo rende la Svezia un caso molto diverso dall’Ungheria di Viktor Orbán, e dalla Polonia, «probabilmente, i maggiori motivi di preoccupazione hanno a che fare con le elezioni italiane del 25 settembre».

Svezia, il paese dei record di sparatorie

Ma non esistono solo Stoccolma, Göteborg e Malmö, né la demagogia elettorale; tutti i partiti in Svezia riconoscono che il modello “porte aperte” ha trasformato in una polveriera la società un tempo più pacifica e indicata come modello d’Europa. «Abbiamo due società parallele ora» non è una frase di Salvini ma di Magdalena Andersson, premier socialdemocratica svedese che si è dimessa ieri in serata. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, nel paese dei sessanta ghetti da anni impenetrabili da autorità e polizia, è stata la recente sparatoria a Eskilstuna, cittadina da 100 mila persone, dove una mamma e il suo bambino di 5 anni sono rimasti feriti durante un regolamento di conti tra bande.

Nell’ultimo decennio, scriveva sempre il Ft, «la Svezia è passata da uno dei tassi pro capite di sparatorie mortali più bassi d’Europa al più alto, secondo i dati del Consiglio nazionale svedese per la prevenzione del crimine. Quest’anno è sulla buona strada per superare il record di sparatorie mortali, con un totale di 44 morti a metà agosto, non lontano dal precedente picco di 47 nel 2020».

«Apri il giornale e conosci chi è morto»

I problemi di ordine pubblico, un tempo liquidati come un fenomeno di gang contro gang limitato alle periferie povere e ad alta densità di immigrati – provenienti da Pakistan, Siria, Nigeria e Somalia soprattutto – sono stati «le principali priorità degli elettori svedesi». In Svezia apri il giornale, leggi di un diciassettenne ucciso a colpi di arma da fuoco e scopri che era amico di tuo figlio (lo racconta Nicholas Aylott, professore associato alla Södertörn University, «non è più qualcosa di cui leggi sui giornali ma qualcosa che sperimenti»).

Cinque anni fa, nel luglio 2017, Dan Eliasson, capo della polizia svedese, rompeva il muro di omertà del governo rivolgendosi ai cittadini con un appello in tv: «Aiutateci, aiutateci!». Raccontava che le aree sfuggite al controllo dell’autorità di Stato e “vietate” alle forze dell’ordine erano diventate 61, sempre più estese, 23 delle quali, attorno alle città più grandi, considerate «particolarmente rischiose». Tradotto: aree commissariate dalle gang, ambulanze disposte a intervenire solo in assetto da guerra.

Vittime da armi da fuoco, omicidi, stupri

Era solo l’inizio. L’anno dopo si contavano 320 sparatorie, 110 omicidi e 7.226 stupri (triplicati in tre anni) denunciati: in capo a un altro anno un’inchiesta della tv svedese (Svt) attestava che il 58 per cento dei condannati per crimini sessuali fosse nato fuori dai confini dell’Ue e Paulina Neuding, giornalista svedese di fama internazionale, veniva accusata di xenofobia per aver collegato l’aumento dei crimini sessuali alla migrazione di massa.

In quei giorni un’inchiesta del Messaggero tra i quartieri Little Mogadisco e Little Damasco di Stoccolma – dove per Mona Sahlin, ex leader dei socialdemocratici, «gli svedesi devono essere integrati nella nuova Svezia multiculturale» e «chi torna dalla jihad, dopo aver combattuto con l’Isis, va riabilitato dandogli una terapia, una casa e un lavoro» – raccontava all’Italia le terribili storture del “progressismo d’antan” che non si era mai spinto oltre la fermata Rissne della metro.

Dal “modello porte aperte” al modello da incubo

Giulio Meotti ha ben riassunto nella sua newsletter cosa è accaduto da allora, dal sobborgo di Rosengård, a Malmö, fino a Landskrona, 35 mila abitanti, sette attentati dinamitardi in 4 anni, e Uppsala, dove l’80 per cento delle ragazze oggi ha il terrore di mettere piede in strada da sola (paura condivisa da 4 donne su 10 in Svezia). In Svezia si registrano 342 sparatorie all’anno (quasi una al giorno), il paese è diventato «più pericoloso d’Europa», scrive Bild (4 volte i feriti da armi da fuoco rispetto all’Europa, triplicati dal 2012 al 2020).

All’indice il “modello da incubo” in cui si è trasformato il celebre “modello porte aperte”. Ricordate i giorni della rivolta e della guerriglia urbana contro la polizia seguite alle provocazioni di Rasmus Paludan, politico danese con cittadinanza svedese fondatore del partito islamofobo Stram Kurs? I giornali la presentarono come “la rivolta dell’estrema destra contro l’islam”, ma il bollettino guerra – scontri, auto bruciate, negozi vandalizzati, tentativi di ammazzare i poliziotti, «mai visto rivolte così violente», fu il commento del capo della polizia svedese Anders Thornberg – poco aveva a che fare con la teoria svedese dell’integrazione, molto con la denuncia, di pochi giorni fa, del Monde: «Nessun altro paese europeo ha visto un tale aumento del numero di vittime di sparatorie negli ultimi dieci anni».

La paura di Letta e quella del papà del bimbo ferito a Eskilstuna

L’integrazione sociale non ha funzionato in un contesto di molta immigrazione, «non c’è stata disponibilità a riconoscere che c’era un problema che si sarebbe ingigantito con il tempo. La situazione è peggiorata così tanto che è difficile tornare indietro».

Questi i frutti dell’accoglienza senza precedenti della Svezia, il paese più accogliente d’Europa, dove oltre il 20 per cento dei suoi 10,5 milioni di abitanti risultano ora nati all’estero, con circa 240.000 richiedenti asilo arrivati ​​durante la crisi dei rifugiati europei del 2014-2015. Secondo Enrico Letta, l’exploit dei Democratici svedesi non sarebbe altro che una ulteriore conferma che «la paura sta prendendo piede in Europa». Per il papà del bambino ferito a Eskilstuna la domanda è un’altra: «Come possiamo vivere in un posto dove i bambini rischiano di essere fucilati in un parco giochi?».

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