Te Deum laudamus per quelli che hanno voglia di fare

Di Luigi Brugnaro
01 Gennaio 2016
Luigi Brugnaro
Luigi Brugnaro: «Non si scappa dalla regola della fatica e del lavoro, occorre spendersi perché la protesta diventi proposta. Venezia mi ha eletto per questo. Ed è questo che le sta permettendo di riprendere il largo»

Questo articolo è tratto dal numero di Tempi in edicola a partire dal 31 dicembre (vai alla pagina degli abbonamenti), che è l’ultimo numero del 2015 e secondo tradizione è dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso. Nel “Te Deum” 2015 Tempi ospita, tra gli altri, i contributi di Antonia Arslan, Sinisa Mihajlovic, Luigi Brugnaro, Marina Terragni, Totò Cuffaro, Gilberto Cavallini, Luigi Negri, Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Marina Corradi, Roberto Perrone, Renato Farina.

Luigi Brugnaro è stato eletto nel giugno scorso sindaco di Venezia, conquistando a sorpresa una delle principali roccaforti del centrosinistra (che comandava incontrastato in laguna dal 1993). Fino all’ingresso in politica è stato presidente di Umana, una delle principali agenzie per il lavoro italiane, divenuta ora una holding che raggruppa venti aziende in diversi settori, e ha guidato la Reyer Basket di cui è proprietario. In precedenza (2009-2013) aveva presieduto anche Confindustria Venezia e Assolavoro (2012-2014). Ha cinque figli.

[pubblicita_articolo]Un gioiello che non ha eguali al mondo e 30 milioni di visitatori l’anno. Eppure, quando siamo arrivati alla guida di Ca’ Farsetti abbiamo trovato un buco da 800 milioni di euro e situazioni in città da far impallidire I miserabili di Victor Hugo. Ma come? Come è stato possibile che un patrimonio dell’umanità, uno dei più straordinari luoghi della storia e siti della civiltà, sia stato ridotto a pietire protezione dall’Unesco e a scendere a Roma col cappello in mano? Come è potuto accadere che, in una città splendente di luce e di tesori, indigeni e forestieri rimanessero impigliati all’ombra di balzelli e di un assistenzialismo sempre più grami invece che scatenarsi in un dinamismo benedetto da Dio e dagli uomini?

D’altra parte è vero, la speranza risiedeva a Venezia nelle stesse percentuali in cui, negli ultimi anni, i cittadini si recavano alle cabine elettorali e partecipavano attivamente al governo della città. Pensate che anche i veneziani non avessero buone, anzi, ottime ragioni per starsene a casa piuttosto che andare a votare? Per mandare a quel paese i signorotti della politica e i signorini dell’antipolitica, piuttosto che infilare una scheda nell’urna? Ecco, guardando a cosa sta accadendo in giro per l’Europa, considero già un piccolo miracolo il fatto che un “signor nessuno”, sia della politica sia dell’antipolitica, è stato eletto a furor di popolo. Posso ben dirlo: a “furore” e da parte del “popolo”, considerato il rating da curiosità esotica, rispettabile ma pur sempre minoritaria, che ci davano gli scommettitori quando il nome di Luigi Brugnaro fece capolino nella corsa a sindaco.

Per carità. Non sono né un comico agguerrito né un professionista della protesta. Non ho né il codino da Podemos né l’età per giocare all’anti-Casta. Eppure, nel mio piccolo, nell’esperienza di una vita trascorsa con un certo impegno e coerenza, posso ben dire di aver fatto “cose” anch’io. Cose come un’azienda che intermedia e dà lavoro a decine di migliaia di persone. Cose come società sportive che ricreano comunità e offrono ai giovani l’opportunità di crescere e competere imparando valori umani e dandosi obiettivi concreti piuttosto che surreali. Non si scappa dalla regola della fatica e del lavoro. Non basta chiedere, protestare e stare dalla parte del bisogno e del giusto. Occorre agire, fare, costruire qualcosa perché bisogno e giustizia si trasformino da lamento in azione, da rivendicazione in fatti, da protesta in azione propositiva. Per cui ogni cittadino, in qualunque condizione si trovi, possa alla fine partecipare dei risultati che il suo contributo ha portato alla comunità nel suo insieme.

L’armonia fra cultura ed economia
Per tagliar corto, visto che l’avventura è appena cominciata (ma i veneziani mi dicono che già si respira un bella arietta nuova in città), ciò che conta nelle piccole come nelle grandi imprese è la serietà, la concretezza e la decisione con cui credi in quello che fai e fai quello in cui dici di credere. Chiamatelo, se volete, “rinascimento veneziano”. Vado per titoli, perché non è questo il luogo per dettagliare.

Primo. Non è vero che, come si è visto con il nuovo tracciato delle Grandi Navi in laguna, la difesa dello sviluppo è contraria alla difesa del territorio e dell’ambiente.

Secondo. Non è vero che cultura ed economia parlano due lingue diverse e che se fai buona cultura sei poi costretto a farla pagare a Pantalone, allo Stato, cioè al cittadino contribuente. Cultura e impresa, in una città come Venezia, non solo devono andare insieme e produrre reddito, ma possono diventare opportunità anche per il governo nazionale e assumere addirittura un ruolo di traino nel processo politico europeo. Vi sembra che Venezia possa offrire meno appeal di Bruxelles e il suo porto debba rinunciare ad ogni segmento competitivo rispetto a quello di Anversa?

Terzo. Porto Marghera. Davvero dovremmo rassegnarci all’idea di un sito archeologico industriale lasciato a incancrenire in laguna, uno spazio geografico immobile nell’assistenzialismo, dove continuare a riversare denari che non producono posti di lavoro, abbandonato alla fantasia di utopie da sottosviluppo?

Quarto. Sono stato eletto perché Venezia torni ad essere Serenissima. Perché invece di fuggire o ciondolare all’amo dei soliti quattro sfasciacarrozze, i giovani ritrovino un lavoro e si appassionino all’impresa di fare grande la loro città, le famiglie la gioia di abitarla con i loro bambini, ogni cittadino la sicurezza anche nelle più remote calli.

Non solo festival e carnevale
È finito il tempo di piangersi addosso e lamentarsi di quello che succede o non succede a Roma. Ringraziando i veneziani che mi hanno voluto in plancia di comando, come sindaco di Venezia, farò tutto ciò che è in mio potere fare perché la nave torni a uscire dal porto e ricominci a solcare i mari, da regina dei commerci e di una modernità sviluppata, civile, ordinata, forte delle proprie identità e peculiarità locali, ma stendendo le sue vele ai venti di tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione. Amo ripetere che “se riparte Venezia riparte l’Italia”. Mi pare di non sbagliare. A Dio piacendo, Venezia non sarà più una non notizia tra una passerella e l’altra del cinema, né l’attimo fuggente di un Carnevale sul Canal Grande.

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